Come farsi fregare 18€ ed essere felici (aka “Cialdini in 5 minuti”)

Come farsi fregare 18€ ed essere felici (aka “Cialdini in 5 minuti”)

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Sarà vero che nel fundraising esiste una “comunicazione giusta” e una “comunicazione sbagliata”? Certo il fine – forse – giustifica i mezzi (pensa all’uso di immagini pietose durante le crisi umanitarie: c’è un’emergenza, quindi premo sull’emotività per accelerare i tempi di decisione), altre volte possiamo discutere molto sulla correttezza ed eticità di certi messaggi.

Di certo nel fundraising ci sono tecniche di comunicazione più efficaci di altre, e non ti sto parlando tanto di canali (tv, mailing, f2f…) o di supporti (brochure, spot, intervista…) ma piuttosto di regole di comunicazione che se ben applicate facilitano molto il mestiere di raccogliere fondi.

Queste tecniche sono vere e proprie “armi” (così le ha definite Robert Cialdini, autore dell’immortale “Le armi della persuasione”) che possono rendere irresistibili i messaggi che esprimono la buona causa della tua piccola o media organizzazione non profit.

Per farti capire meglio la potenza di queste tecniche di persuasione, ti racconto che un paio di giorni fa ho felicemente perso 18€ per sostenere un progetto di “personal fundraising” reso assolutamente convincente daun’applicazione sapiente di questi principi universali.

La verità ti (no, mi!) fa male lo so

Ok, non era proprio una campagna di personal fundraising. Ok, non c’era nemmeno un’organizzazione non profit dietro. Ok, non c’era nemmeno una buona causa! Ok, diciamola tutta: mi sono fatto abbindolare come un pero cotto da un autentico mascalzone! Quindi, vero che in questo articolo non parliamo di fundraising, ma essere fregato in questa maniera “sofisticata” mi ha spinto di analizzare il fatto. I 5 minuti di questo episodio contengono tutte le regole che possono rendere persuasivo ed efficace un messaggio finalizzato al fundraising!

La scena del delitto

Mi trovavo a Padova, ai parcheggi di fianco alla Basilica di Sant’Antonio. Mi sto dirigendo al parchimetro per pagare la sosta dell’auto e già in lontananza noto un ometto che corre su e giù per la strada. Arrivo al parchimetro, cerco il portafoglio, indugio qualche secondo su quanti soldi versare ed ecco che di fronte a me si ferma l’ometto tutto trafelato, che mi si avvicina e attacca:

PARTE DEL MESSAGGIO ARMA DELLA PERSUASIONE SIGNIFICATO NEL FREGARMI
“Mi scusi, anche lei è di queste parti?” Similitudine Abito a qualche km da Padova. Ma se mi chiedi se anche io come te sono della zona, ti rispondo di si e così c’è un primo collegamento tra di noi.
“Ascolti per piacere, aiuterebbe una persona in difficoltà?” Impegno A tal domanda l’aria si è fatta strana, ma di fronte a un ometto di mezza età agitato e affaticato, ho risposto “Si, ma mi dica…”
 “Mia moglie stava facendo assistenza a suo padre malato. Poche ore fa è morto e ora lei è lì da sola. Non posso lasciarla sola, ma mi trovo qui senza un soldo…” Sim-patia E’ una storia lacrimevole ma tutto sommato verosimile. Ma soprattutto mi muove qualcosa
 “…ho già raccolto 90€. Me ne servono solo altri 18€ e potrò comprare il biglietto del treno per raggiungerla in serata…” niente armi, ma… la richiesta è molto specifica. Chiede 18€ e non 20€ o “qualche euro”. Questo non mi convince ma mi apre di più ad ascoltarlo
 “…delle persone disponibili ad ascoltarmi come lei mi hanno dato una mano, adesso mi mancano solo 18€…” Riprova sociale Lo hanno fatto altri, perché non ritenere quindi più valida questa storia?
 “…la prego, mi aiuti. Mi guardi, sono un uomo di 53 anni, che vergogna! Qui a chiedere aiuto alla gente per strada come un disgraziato…” Sim-patia Rinforza l’empatia con la sua vicenda
 “…il mio treno parte tra mezzora. Ho giusto il tempo di arrivare alla stazione, prendere il biglietto e salire, se lei mi aiuta ce la posso fare”  Scarsità L’effetto countdown nell’aiutarlo a risolvere questa soluzione ha creato un senso di urgenza. O lo aiuto adesso, o mai più!
 “Davvero, la prego. Mia moglie è lì da sola, da questa chiesa ci è testimone San Pietro di quello che le sto dicendo…” Autorità Sono agnostico, tuttavia in me c’è un’impronta di credente. Certo non sono superstizioso, ma questo richiamo religioso mi ha smosso qualcosa
 “Allora, non darebbe una mano a una persona in questa situazione?” Coerenza Dopo 4 minuti di ascolto, cosa avrei potuto rispondere? Un “Mi auguro davvero di potermi fidare di lei”. Questa frase di implicito impegno segna la mia condanna! 🙂
 “Guardi, faccia una foto alla mia carta di identità, avrà un cellulare, no? Ecco, la chiamo, si salvi il mio numero, mi dia già il suo indirizzo per farle un vaglia e renderle i soldi, anche di più” Reciprocità Vuole darmi i suoi dati personali e anticipa ogni mia richiesta di “rimborso”. Quindi in un certo modo crea fiducia e una maggiore disponibilità.

Tiro fuori il portafoglio, trovo ovviamente non 18€ ma un pezzo da 20€ e glielo porgo. L’ometto: “Mi dispiace, 20€ non glieli avrei chiesti, non mi servono per raggiungere mia moglie! Magari prenderò una bottiglietta d’acqua per il viaggio. Le restituirò tutto!”.

L’ometto mi bacia le mani (!), riprendere a correre per la strada, incrocia un autobus, mi urla contro “Questo va in stazione!” lo insegue fino alla fermata, monta e sparisce per le vie di Padova.

Happiness in slavery (cit. Nine Inch Nails)

Il senso di essere stato fregato consapevolmente era forte, ma il punto fondamentale è questo: per quanto “attento” alla scena, in quei 5 minuti ho comunque creduto a tante delle espressioni verbali, non verbali e paraverbali rinforzate da un uso studiato delle armi di persuasione.

Quindi, che ti devo dire? Grazie a questa dimostrazione di Cialdini in 5 minuti sono rimasto fregato e (dopo qualche giorno di rielaborazione del lutto) contento!

Diamo un senso a tutto questo!

Ripensandoci oggi tutta la storia è piena di falle (mica hai un bancomat? Possibile che abiti a Padova e che tu non abbia nemmeno un conoscente a cui chiedere aiuto? Se arrivi domani mattina, sul serio la differenza è così grande? …).

Ma un messaggio ben confezionato (corsa, agitazione, costruito su domande…), ben posizionato (di fianco alla chiesa!), con elementi di realtà (l’autobus che passava giusto a quell’ora: analisi ambientale? ), una richiesta specifica di aiuto (18€), trasparenza nell’utilizzo del contributo (biglietto del treno + bottiglietta d’acqua grazie ai 2€ in più rispetto ai 18€ !) riesce ad attivare tutti gli stadi di una comunicazione efficace: Attenzione – Interesse – Desiderio – Azione (AIDA).

Chi come te si interessa o si occupa di comunicazione, marketing sociale e fundraising ha l’opportunità di impiegare queste stesse regole per portare sostegno a buone cause importanti anzichè per fregare la gente. Impara a usarle bene e potrai rendere convincente potenzialmente qualsiasi messaggio. Certo è anche che ogni fundraiser dovrebbe essere capace di applicarle con senso etico e rispettando il donatore attuale o potenziale.

La questione diventa: come fundraiser abbiamo davvero la coscienza a posto con i messaggi che aiutiamo a lanciare? Siamo disposti a rispettare i tempi e l’intelligenza dei sostenitori oppure l’attacco emotivo e “no brain” è giustificato in ogni caso, dato che c’è una buona causa dietro? Dove sta il limite tra la comunicazione persuasiva e la fregatura?

Discutiamone assieme nei commenti!

PS: scrivo questo post solo dopo vari tentativi di contatto con il grande allievo di Cialdini. Tra silenzi, telefoni non raggiungibili e chiamate chiuse, almeno a questo punto sono certo di non sbagliare!

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30 commenti su “Come farsi fregare 18€ ed essere felici (aka “Cialdini in 5 minuti”)”

  1. Caro Riccardo, la tua disavventura fa parte delle piccole grandi truffe in cui è facile cadere. Particolarmente odiose quelle a danno di persone anziane. Tu ne hai tratto insegnamento e spunto di riflessione su un aspetto fondamentale del fundraising: l'etica della comunicazione come componente ineludibile del fundraiser professionale ed etico.

    Per chi avrà la pazienza di leggerli, segnalo un articolo sul mio blog, un po' datato, riferito al sistema di informazione e rendicontazione adottato dal PIME, che ho velocemente citato al seminario realizzato il 3 marzo scorso da Socialidarity, in cui abbiamo interagito:
    http://beppecacopardo.wordpress.com/2008/07/21/se
    La seconda indicazione riguarda uno dei Lunedì di ASSIF, quello del 7 aprile 2008, sicuramente rintracciabile nell'archivio del sito dell'Associazione, anch'esso un po' datato, ma attuale:

    “COMUNICAZIONE E RACCOLTA FONDI” SHOCKING STRAPPALACRIME SUPERFICIALE – Milano, 7 aprile 2008

    Terza e per ora ultima indicazione, ma attuale: proprio questa mattina si terrà un incontro del gruppo che da tempo sta lavorando al codice di autodisciplina della comunicazione nel nonprofit. Gruppo che ha visto e vede il coinvolgimento di ASSIF dall'ottobre 2010. Lo scopo è quello di arricchire il Codice di Autodisciplina della Comunicazione dello IAP – Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria – con integrazioni che riguardino la comunicazione nel settore nonprofit. Buona giornata, Beppe

    • Ciao Beppe, grazie mille delle risorse che segnali. La mia disavventura è da poco, una piccola truffa come la chiami tu, però se la pensiamo su larga scala ci insegna molto su come le buone cause possano essere manipolate per il lucro o ingiusto vantaggio di persone con pochi scrupoli. Buona causa + tecniche giuste = risultato quasi garantito. Bene quindi che lo IAP lavori sulla definizione di come il non profit debba comunicare, teniamo le antenne alzate in attesa di segnali! Grazie ancora del tuo tempo e a presto!

  2. caspita!
    che razza di svventura..
    53 anni di lunga esperienza l’ometto!
    grazie mille per la condivisione della tua analisi,e per la riflessione finale
    il senso etico e la responsabilità della comunicazione sembrano essere talvolta un problema forte di chi lavora nel sociale…ma vuoi vedere che se assumiamo o collaboriamo (sia nel lavoro che nel volontariato)con sto ometto qui prendiamo un sacco di soldi e sistemiamo i problemi di un sacco di gente? certo che si! ma con che faccia tosta? è giusto?
    grazie Riccardo

    • Una piccola sventura, sicuramente un “esperto della truffa”, ma come dici tu il problema vero non è tanto la piccola truffarella occasionale, ma piuttosto il ricorso sistematico a questi stili ed espedienti. Grazie al cielo, non so di vere organizzazioni non profit che lavorano così (di false si, invece). Madre Teresa diceva qualcosa del tipo “Non mi importa da dove arrivano i soldi, sono tutti ripuliti dall’uso che ne facciamo per chi ne ha bisogno”. Mah, certo è conveniente, funziona, ma sinceramente mi lascia perplesso. Alimentiamo la discussione, dai… intanto grazie mille del tuo commento Giulia!

  3. Riccardo, ottima analisi! Credo sia fondamentale la coerenza fra ciò che si promette di ottenere e soprattutto dimostrare cosa effettivamente si sia riuscito a concretizzare.
    Credo che non ci si debba sentire in colpa nel condividere un obiettivo ed usare strumenti/tattiche/strategie del caso per raggiungerlo; la fregatura nasce quando si usano le risorse per un fine diverso da quello condiviso e dichiarato.

    • Ciao Livio! Grazie per il tuo commento, che si scosta da molte altre opinioni: niente sensi di colpa se si usano tattiche adatte a perseguire una buona causa. Invece condanniamo utilizzo delle risorse diverso da quello dichiarato. Per me il ragionamento ci sta tutto: anzi, lo condivido proprio. L’attenzione però proverei a spostarla sulle tattiche e gli stili: secondo me ok all’emotività-ariete in una prima fase, ma se dopo anni di sostegno continui così, vuole dire che ci son falle di sistema o un utilizzo inappropriato delle tecniche di comunicazione. Una disciplina esterna dovrebbe vigilare su questo. Peccato che questo discorso si applichi molto più facilmente al no profit che non al profit! Ma forse è più corretto che sia così dato che il secondo vende beni e il primo costruisce fiducia. Grazie mille del tuo commento Livio!

      • Seguo il tuo ragionamento Riccardo e terrei il focus sulla causa, sul fatto di onorare un accordo, un contratto una promessa (se ciò è una buona causa, tanto meglio: sono i coinvolti a sentirla tale).
        Per quanto riguarda tattiche e tecniche: sono d’accordo con te che sia “triste” che si continui a spingere sulle stesse leve. E credo che ciò dimostri che sono semplicemente strumenti che funzionano: il problema è a che pro usiamo questi strumenti… il martello serve solo per piantare chiodi o può diventare arma impropria?

  4. Post interessante Riccardo, complimenti. Replico a questo articolo dicendo che circa 2 anni fa ho avuto il piacere di leggere "Le armi della Persuasione" e che lo ho trovato molto interessante (anche se un tantino troppo teorico).

    Venendo al nocciolo della discussione "Dove sta il limite tra la comunicazione persuasiva e la fregatura?" diciamo che è un argomento HOT perchè il limite è sempre una linea sottile.

    A parer mio tutto questo, continuerà a funzionare ma sarà sempre + ardua la sfida per i "comunicatori di cause" trovare la via giusta per attrarre emotivamente i possibili donatori.

    Al tempo nostro e nel prox futuro scansionare le recensioni, googlare le reputations e matchare le opinioni saranno sempre di più una pratica comune e questo permetterà ai sostenitori di evitare le fregature informandosi dettagliatamente sulle cause e sulle associazioni. Per quanto riguarda le associazioni invece dovranno, oltre che intorpidire emotivamente i sostenitori, essere quanto + cristallini possibili e rendere disponibili sempre più dati e informazioni per essere credibili, perchè una volta errato, il web farà fatica a perdonarti. (scritto d'un fiato se ci fossero errori perdonate) Yo!

    • Ciao Mattia, quando dici “intorpidire emotivamente” spero di non aver sbagliato i toni. La trasparenza informativa è dovuta e necessaria, bisogna parlare alla testa! Ma una comunicazione emotiva equilibrata mi sembra un mezzo corretto per aprire le porte dell’ascolto. Il punto è che ormai è ben noto, anche a senso comune, che certi stili funzionano meglio di altri. In alcuni casi penso che ricorrervi sia giustificato (come indicavo: raccolta fondi di emergenza -> stile emotivo ok) ma può essere questo il trend medio? Tu porti una prospettiva interessantissima, cioè quella della “memoria del web”: anche qui, penso che dovrebbero essere i fundraiser a valorizzare questa risorsa. Altrimenti, finiamo col dire una cosa (trasparenza per i donatori) ma a farne un’altra (il gioco più comodo).
      Grazie del tuo commento! yo! 🙂

  5. So di esulare dall’analisi in ottica “fundraising”.
    Spesso mi sono chiesto quale fosse la mia posizione personale dei confronti dell’elemosina.
    Ho concluso che non sia importante essere sicuri al 100% che il questuante sia davvero nelle condizioni in cui dimostra d’essere.
    Ciò che è importante, quando siamo nella posizione di poter fare dell’elemosina, è la nostra risposta. L’elemosina è un’apertura all’altro, allo sconosciuto, al mondo che ci chiede aiuto.
    E’ un atteggiamento mentale, o un’inclinazione dell’animo che riguarda solo chi dona. Indipendentemente da chi riceve. Penso peraltro che questo sia il messaggio evangelico.

    Per il resto, non essendo un fundraiser, non posso addentrarmi nel vostro campo, ma vi auguro di essere occasione, per chi ripone fiducia in voi, di rivedere almeno un po’ di quello scetticismo personale circa il donare, vi auguro di permettere a molti di aumentare la propria fiducia circa le donazioni.
    Credo che la fase “dimostrazione del risultato” sia fondamentale allo scopo.

    Infine Frido, complimenti per l’analisi, sono appassionato come te di linguaggio e metalinguaggio, ma soprattutto complimenti perchè, nel dubbio, hai saputo donare comunque. E questa è la tua vittoria.

    • Tommaso, per quanto tu possa dire che il tuo commento è “off topic”, credo invece che sia un contributo importantissimo a questa (e tante altre!) discussioni sul fundraising.
      Tutto sta nella forza e nel significato del tuo invito a “essere occasione, per chi ripone fiducia in voi, di rivedere almeno un po’ di quello scetticismo personale circa il donare, vi auguro di permettere a molti di aumentare la propria fiducia circa le donazioni”.
      Credo che fra le “5-cose-da-fare” di chi opera nel campo della raccolta fondi debba esserci proprio questo: divulgare, assottigliare le asimmetrie informative, creare le condizioni per far crescere fiducia, al di là di questa o di quella organizzazione beneficiaria. Del resto, se non lo facciamo “noi”, chi altro dovrebbe mai farlo?
      Che il tuo augurio sia di ispirazione e guida a chi vuole continuare su questa strada!
      Per il resto, sai che ti dico? Che nonostante riconosca di essere stato fregato, è vero: il fatto solo di aver donato mi ha fatto sentire bene. Il valore sta lì. Da “apprendista professionista” devo dire che non può stare solo lì, ma è a quanto esprimi tu che dovremmo educarci e impegnarci ad educare gli altri. Grazie di cuore di questo tuo contributo, Tommaso!

  6. Il paradigma della persuasione (soprattutto quella di Cialdini che è ormai vecchia di una ventina d’anni) non è appropriato fino in fondo al fund riaisng. Va bene per la strada dove l’azioned i fund raising è terribilmente sim ile a quella della ccarità o della vendita.

    Il paradigma giusto è quella dell’adesione o della condivisione che da un punto di vista psicologico sono altri fenomeni.

    Caro Riccardo se tu usassi quello schema con me te ne andresti presto presto senza una linra in tasca. Per cui: dipende!

    E ti pongo un quesito. Se a chiederti i soldi in quel modo fosse stata una Organizzazine e non un individuo in difficoltà (apparente), avresti reagito allo stesso modo?

    La verità è che trucchi e scorciatoie per fare bene fund raising non ci sono. CI vuole la forza della missione e la capacità di condividere, con la consapevolezza che alcuni lo faranno e molti altri no. E questo non è un dramma ma uno sprone a conquistare nuovi consensi adeguando il proprio punto di vista a quello dell’interlocutore. In questo modo hai donatori nell’altro hai al massimo solo donazioni.

    Infatti ti domando: ma se lo incontri di nuovo per strada, a quel tizio che fai gli ridai i soldi? Credo di no, forse non gli richiedi indietro neanche il prestito.

    In sintesi: non mitizziamo troppo l’approccio da persuasore, tanto pià in un periodo di crisi economica e sociologica, dove gli individui sono molto meno propensi a cedere ad aspetti retorici e molto più concentrati sulla sostanza.

    • Ciao Massimo! Quando ho scritto questo articolo avevo ben chiare due cose: 1) sono un sentimentale 2) per quanto io ritenga di essere informato, quasi di sicuro ho donato “male” (in quanto sentimentale. La questione che ho posto a rivederla vira su quanto sia effettivamente facile arrivare allo scopo se si usano certe tecniche e strategie. Ridarei i soldi a quella stessa persona? No! Ci ricascherei in un’altra situazione? Forse si. Le tecniche sono tecniche, dipende (come dici tu!) dall’utilizzo che se ne fa. Io sono per la condivisione, ma mi rendo conto che la persuasione (che di per sè reputo neutra) è una via che può funzionare bene. E, ad esempio, il tanto discusso f2f, strumento di utilizzo comunemente accettato da chi opera nel fundraising, cos’è se non un particolare uso di tecniche di persuasione? La condivisione è un processo che richiede tempi lunghi, la persuasione può funzionare in 5 minuti: in aeroporto coi dialogatori non succede proprio questo? Allora io dico: la persuasione può starci benissimo, specie in una fase iniziale o emergenziale, ma non é accettabile che alcune organizzazioni e professionisti si fermino a questo! Il rischio è sempre quello: non di creare poca fiducia, ma piuttosto di generare una sfiducia persistente e diffusa! Il paradigma corretto e di guida per tutti gli altri è quello della condivisione. Ma, la domanda che pongo ancora: il fundraising oltre a seguirlo, lo applica davvero? Grazie mille Massimo, i tuoi commenti muovono sempre le acque! 😉

      • Grazie a te per solelvare discussioni sempre vive. Mi sembra che la pensiamo allo stesso modo, tutto sommato. Due precisazioni

        La persuasione è neutra, sì, ma se è+ l’unica piattaforma della relazione allora non è neutra neanche un po’.Ecco perchè i moderni dialogatori markettari sono una minaccia per il fund raising (vedete nostro blog http://www.blogfundraising.it/donazioni-da-individui/vu-cumpra-unadozione-a-distanza/. Il limite di Cialdini (se mi è permesso di fronte a cotanta autorità) è quello di renderla un paradigma.

        Io non sono contro il sentimento. Al contrario. Non c’è opposizine tra sentimento (cuore) e ragione (cervello). Sentimento vuol dire percepire con i sensi ed esercitare questa percezione (dal latino sentire: Insomm,a: senti come ti pare e con cosa ti pare ma per esercitare devi mettere in moto il cervello. E se nel cervello non hai “due sistemi operativi” differenti ma uno solo……allora capisci che le due sfere non possono essere contrapposte.

        • Grazie di questi nuovi stimoli e spunti Massimo, davvero. A partire da tutto questo, cosa possiamo aggiungere alla discussione? Come possiamo farla evolvere in qualcosa di propositivo? Uno spunto: non sarebbe ora di definire un “decalogo” condiviso tra professionisti di cos’è e cosa non è fundraising? Sono sicuro che le persone ne sentono (con la testa, la pancia e, spesso, con il cuore) il bisogno. A presto!

  7. Riccardo, Massimo e tutti, mi aggiungo alla fine anch’io. Ho letto con molto interesse il post e la discussione che ne è seguita.
    Il mio primo pensiero è stato che il comportamento dell’ometto (per chiamarlo nel tuo stesso modo, Riccardo) è quello che mi viene messo davanti – non così spesso, ma accade – da chi mi dice la classica frase “chissà dove vanno a finire i soldi” . In particolare ragionavo sul concetto di “urgenza”: non ripeto quello che avete detto già voi qui sopra ma, insomma, quando parla “il cuore” spesso il cervello tende a tacere, per dirla così.
    Concordo con l’idea del “decalogo” o di come vogliamo chiamarlo…non nel senso di irrigidire all’interno di regole predefinite un concetto, ma un semplice strumento divulgativo su cui ragionare e parlare con chi ci ascolta (o dovrebbe) quando chiediamo.
    Ciao!

    Simona

    • Ciao Simona, già “al cuor non si comanda”, il punto forse è trovare il giusto equilibrio tra una comunicazione emotiva e un’informazione trasparente. Riusciamo a trovare le “best practices” nel fundraising? Sarebbe interessante valutare, anche secondo criteri oggettivi, chi lavora bene (e ce ne sono) e chi lavora meno bene (e ce ne sono!). Grazie mille del tuo commento, a presto! 😉

  8. Molto interessante! Per quella che è la mia esperienza nella raccolta fondi spesso – se non sempre – si parte con le migliori buone intenzioni in termini di etica, coerenza, trasparenza ecc. e poi – talvolta – si devia dalla retta via per vari motivi, per esempio:
    – aumentare drammaticamente la raccolta per fare carriera
    – obiettivi di crescita troppo elevati imposti dal management (come succede nel profit, finché non arriva la crisi irreversibile)
    – cattivi suggerimenti / cattivi esempi (se quello lo fa con successo posso farlo anche io)
    – inesperienza

    In particolare i primi due punti sono, almeno secondo me, la causa di molte deviazioni dal sentiero virtuoso che si dice di seguire, ma sono anche argomenti di grande scabrosità dei quali in pochi parlano volentieri.

    Al di là delle tecniche più o meno up-to-date il cuore del donatore (e del fundraiser, mi auguro) secondo me sarà sempre – giustamente – chiamato in causa, però c’è modo e modo di farlo.
    Detto questo anche io me la faccio incartare, talvolta, alle volte ne sono anche consapevole, ma evidentemente va bene così

    • Ciao Silvia, grazie del tuo punto di vista che porta ancora nuovi argomenti. In effetti la “devianza interna” è un fattore forse sottovalutato e di cui magari si preferisce non parlare troppo! In particolare i primi 2 punti sono veramente hot, specialmente il primo direi: quali linee guida per il fundraiser? C’è una condivisione aziendale sui modi, c’è il nero su bianco sulle condotte ammissibili e quelle inammissibili?
      Mi piace tanto il tuo pensiero conclusivo: a volte magari ci casco, ma va bene così. Forse è proprio questo l’aspetto di un cuore è allenato bene ad essere aperto e generoso! Grazie tante del tuo contributo e a presto!

  9. Ottimo post Riccardo, mi ci sono proprio ritrovato!
    Anche perchè la stessa identica esperienza l’ho vissuta nella mia città forse 20 anni fa e mi è costata 20 o 30.000 lire di allora…l’unica differenza è che il truffatore professionista bazzicava sempre negli stessi paraggi e alla fine l’ho rivisto sul giornale locale, in mezzo a due carabinieri…
    E’ impressionante comunque come il modello sia lo stesso!!

    Io penso che il libro di Cialdini sia molto attuale e debba essere conosciuto. Anche perchè il problema di fondo è che quando si entra nel campo delle emozioni (e il fund raising deve farlo) entrano in gioco quei comportamenti che Cialdini definisce scorciatoie mentali che spesso ci espongono a questi rischi di manipolazione.

    Conoscendoli però possiamo da un lato cercare di minimizzarne l’impatto (non è facile comunque) e poi utilizzarli in modo eticamente ineccepibile se vogliamo stimolare una risposta positiva negli altri.

    Come sempre l’etica deve guidare le decisioni, e basta guardare certo fund raising in giro per capire che non succede sempre così…

    • Wow, grazie mille Paolo! Guarda un po’, paese che vai …stessa truffa che trovi! 🙂 Trovo poco da aggiungere al tuo post, che forse fa la sintesi delle sintesi di un po’ tutte le riflessioni e posizioni. L’etica dovrebbe essere il lumino nell’uso delle “armi”, quale che sia lo strumento a cui si applicano, perché come dici tu un uso appropriato non solo funziona ma è corretto in termini di approccio al donatore. Possiamo definire qual è e quale non è l’applicazione eticamente condivisibile? I prossimi ragionamenti potremmo provare a spenderli su questo.
      Grazie ancora del tuo commento e di avermi fatto sentire meno solo in questa esperienza! 😉

  10. ormai non dire la verità, soprattutto su se stessi, si sta rivelando controproducente, siamo sul punto di dover cambiare il nostro modo di vedere noi stessi, perchè il considerarci oggetto e non soggetto ha delle implicazioni sempre più palesi a livello di società e benessere personale… le armi della persuasione nasce come libro per venire incontro alle fregature, appunto, ed analizza dei meccanismi di comunicazione, il loro impiego è semplicemente una “tecnica”. io credo (e ci spero) che l’ingannare chi ti da una mano sostenendoti risulterà in futuro controproducente, e per inganno intendo la consapevolezza di non credere a quello che si stà dicendo. cosa mi interessa, come nonprofit, se chi incontro è di Padova, di Milano, di Torino, di Roma o di Catania, perchè chiederglielo, perchè voglio sapere chi è per “incontrarlo” oppure per “sfruttarlo”. qui sta forse il punto, se ad esempio la mia onlus è contro lo sfruttamento di qualche categoria estera, perchè adottare lo stesso metodo che cerco di combattere ? ovviamente in questo modo i ricavi scendono…
    in sintesi parlerei di torte, non esiste solo il lato economico…. quando c’è un guadagno dovuto a 2 persone la torta va comunque divisa, dare è meglio che ricevere dice cristo, e allora se proprio devo ricevere, almeno devo dare qualcosa in cambio, l’onestà intellettuale ad esempio…
    ovvero se proprio devo usare le “armi” (termine che non avrei usato fossi stato in cialdini perchè riconduce ad un aggressività di fondo verso chi ti sta davanti…)le devo usare per fare meglio quello in cui credo, se credo che chi è davanti a me non abbia capito quanto è importante per me quello che gli chiedo di fare…
    e poi in realtà vanno usate per scherzare con gli amici… sai quante birre mi hanno offerto in questi anni 😉 eh domani mi danno lo stipendio, offrmiene una dai, siamo dello stesso paese io e te, io e te…

    • Ciao Stefano, il tuo commento è ficcante nella parte in cui dici: “e se proprio devo usare le “armi” le devo usare per fare meglio quello in cui credo, se credo che chi è davanti a me non abbia capito quanto è importante per me quello che gli chiedo di fare…”. Questo è un utilizzo appropriato di questi strumenti e tecniche …almeno credo! Poi, come dici tu, cosa ritorno a fronte dell’utilizzo di queste armi? Onestà se non altro, ma qui si apre il tema della comunicazione etica e della trasparenza e forse non ci basterebbero mille pagine per esaurire l’argomento… Grazie mille del tuo graditissimo commento!
      PS: ah, così si rimedia una birra in più?!? 😉

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