A volte nelle piccole organizzazioni il fundraising proprio non vuole saperne di funzionare.
Il fatto è che nella gran parte dei casi la colpa è di chi dirige l’organizzazione (chiamalo board, cda, direttivo) e non di chi fa la raccolta fondi (tu, il fundraiser).
Questo è vero sia quando l’organizzazione sta avviando la raccolta fondi strutturata, sia quando il fundraising sta vivendo una fase recessiva.
Capita di solito che i dirigenti chiedano nuove tecniche e più azioni, il fundraiser invece solleva che c’è un problema di strategie e di governance.
Tipicamente la verità non sta nel mezzo, ma dopo la virgola della frase sopra.
Infatti anche nel fundraising vale la regola che “estendere la linea” già nel breve termine produce sprechi, inefficienze, stress organizzativo, costi crescenti.
Invece i dirigenti di tante piccole organizzazioni sono convinte che più azioni realizzi, più raccogli, ma in una fase recessiva o di avvio così finisci a fare tanto per raccogliere poco. L’illusione di “far bene” è provocata dal sottovalorizzare all’interno delle attività il costo del personale e l’impiego dei volontari, che invece se valutati trasformerebbero risultati positivi in pareggi o in deficit. Così spesso la forza moltiplicatrice del fundraising (quanto produce 1 € investito?) si riduce a ben poco.
L’altra faccia della medaglia è che a un certo punto il desiderio irrazionale di “fare cassa” fa scattare che il fundraising produce progetti istituzionali per giustificare se stesso, mentre il rapporto corretto è esattamente il contrario: i progetti istituzionali generano fabbisogni che motivano i progetti di fundraising.
Ancora: agire su tutti i mercati della raccolta fondi in contemporanea è uno dei modi tipici di estendere la linea che produce ENORMI inefficienze nelle piccole organizzazioni. I tempi di azione e reazione sono troppo differenti, le modalità di approccio e i supporti di comunicazione necessari sono diversificati. Una sola persona semplicemente non può governare questa complessità, ma nelle piccole organizzazioni la dirigenza chiede al fundraiser di fare proprio questo, quando è evidente che l’impegno necessario oggettivamente è ingestibile anche da chi fosse particolarmente preparato.
E il problema è tutto qua: le dirigenze delle piccole organizzazioni non profit purtroppo molte volte non sono consapevoli di questi e altri principi concreti di funzionamento delle aziende che governano.
Le organizzazioni più sfigate si trovano a vivere in questa tensione: una dirigenza responsabile legalmente ma irresponsabile nella gestione (magari in buona fede, ma qualche volta purtroppo in mala fede) che addita il fundraiser per l’insuccesso dell’andamento generale, diventando così anche un board irresponsabile sul piano dirigenziale (scatafascio).
Questo tipo di dirigenza non dirigente nel giorno per giorno:
- non decide, ma discute
- non produce contatti
- non apre porte
- non mantiene relazioni significative
- non porta donazioni nè altri tipi di entrate
- non lavora per l’organizzazione, ma presenzia
- mette davanti le opinioni alle strategie
- vuole rivedere in chiave personale la mission
- teme di disturbare i donatori
- ritiene che un giro di chiave a caso (una nuova tecnica) faccia cambiare marcia alla macchina
- pensa o dice che la colpa sia tua.
Di fronte a tutto questo la soluzione più logica, pratica e corretta per il bene dei beneficiari (siano essi creature o “cose”) è riformare o sostituire la dirigenza.
Senza troppi giri di parole e senza spostare il mirino sul fundraiser.
No, collega: non è colpa tua!