Perché il “portafoglio donatori” è un’idea malata?

Perché il “portafoglio donatori” è un’idea malata?

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“…e per questo vogliamo finanziare questo progetto con l’accompagnamento di un professionista. Quindi: quanto grande è il tuo portafoglio donatori?”

Questa domanda mi è stata fatta più volte e la risposta è sempre:

“Non ho un portafoglio donatori. Addio!”

Questo post è rivolto in particolare a quei consiglieri di direttivo o “manager” del non profit che cercano di raccogliere fondi a due condizioni:

  • evitando accuratamente di staccare le chiappe dalla poltrona
  • godere della manna dal cielo

Questo è il profilo del dirigente in malafede, oppure in buona fede ma mortalmente ingenuo, che crede ancora che fare raccolta fondi sia, in sequenza:

  1. trovare un consulente o meglio un agente di fundraising
  2. affidargli il servizio a percentuale
  3. lasciare che scartabelli il suo “portafoglio donatori”
  4. aspettare che faccia 7-8 telefonate giuste
  5. nel frattempo fare altro, che centra poco o nulla con il fundraising per come lo intende un’organizzazione seria e un professionista preparato
  6. vedere il consulente che torna con il sacco pieno
  7. incassare
  8. pagare in ritardo la provvigione al consulente
  9. ricominciare da capo, ma solo quando l’acqua è alla gola

Questa idea malata (o meglio del cazzo) purtroppo è ancora diffusa nell’ambiente del terzo settore italiano, altrimenti non si spiegherebbe perché mai ogni tanto io riceva ancora mail del taglio delle righe a inizio post.

Ma, certo, affermare che questa idea è malata non basta.

Caro dirigente, di seguito ti spiego perché quella del portafoglio donatori è un’idea malata. Lo è almeno questi piani di approfondimento del fundraising:

  • imprenditoriale: ti affidi (cioè credi di scansare la fatica affidandoti) a uno che venderebbe tua madre, cioè che metti nella condizione di usare il tuo brand come meglio crede dicendo quel che più gli aggrada per portare a casa una provvigione. Oltretutto, governando la relazione con potenziale donatore. Stai mettendo i due principali assett immateriali dell’impresa (brand e relazioni) in mano a uno sconosciuto.
  • manageriale: se sei un manager e pensi che il deus ex-machina/consulente di fundraising risolva i problemi per te senza che tu debba dare o fare nulla nè assumerti responsabilità, è evidente che stai facendo il lavoro sbagliato. Davvero, perché tutti i bravi manager del terzo settore che conosco sono in moto perpetuo, assumono il peso della responsabilità e producono risultati. Senza cercare in giro liste alla cazzo. Mai se lo sono sognato.
  • legale: un consulente non è un broker di liste. Un broker di liste è una società autorizzata a fare brokeraggio di anagrafiche, a certe condizioni. Quindi chi mai ti passasse o gestisse anagrafiche per conto tuo in maniere frivole, sta infrangendo la legge.
  • culturale del fundraising: forse ti sei dimenticato che le persone donano perché ripongono fiducia nell’organizzazione a cui donano e negli impatti positivi che riesce a generare per i beneficiari. Si crea un rapporto che puoi parificare ad uno affettivo.
  • etico: stai sputando in faccia al donatore. Stai sputtanando il settore. Chiaro?

Questi alcuni motivi per cui l’agente di fundraising col portafoglio donatori è un’idea malata, un’idea veramente del cazzo!

Se non ti è chiaro come funziona il mestiere, in questo stesso blog trovi tanti articoli che ti spiegano come come funziona il discorso.

Se passa, bene, altrimenti lascia libero il posto.

PS: se sei un collega che incappa in queste richieste, sai perché non può funzionare e come dire di no.

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