Precollinear Park: quando è la comunità locale a spingerti a fare fundraising

Precollinear Park: quando è la comunità locale a spingerti a fare fundraising

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Grazie di cuore allo chef du fund Giacomo Molinari per questo articolo!


Da qualche mese a questa parte, ho ricominciato a vedere l’alba.

Cammino per le strade della città che si risveglia, godendo del cinguettio degli uccellini (o dello stridore dei gabbiani, abitando lungo il fiume) mentre intorno a me il brulicare della vita urbana si riattiva, riparte, come un ingranaggio oliato che compie i suoi primi giri.

Nella fascia oraria compresa fra le 6.00 e le 7.30 Torino brilla del suo fascino crepuscolare, da vecchia signora, e permette all’osservatore attento di perdersi nei pensieri mentre guarda le luci degli appartamenti che si accendono, la nebbia che si dirada dai lampioni, le facciate dei palazzi che si scrollano di dosso la brina della notte e si preparano ad un nuovo, dignitoso giorno.

Il motivo di questa passione per le camminate antelucane non è dovuto né ad una rinnovata attenzione per l’allenamento (quelle cose tipo cuffiette – tutone – corsetta e si inizia la giornata taaaac!) ne tantomeno alla gioia di filosofeggiare nel freddo pungente delle prime ore del giorno:

cagnolona
Tanto poi le giornate lei le passa così, se lo può permettere…

si tratta piuttosto di una delle conseguenze dell’aver accolto in casa una simpatica cagnolona, la quale vive di un suo bioritmo particolare che la porta a prediligere proprio quel momento della giornata per le sue prime corsette – svegliando di conseguenza il suo incauto proprietario e costringendolo a scivolare fuori dal caldo rifugio offerto dalle coperte.

Tutto questo movimento mattutino offre tuttavia anche degli inaspettati vantaggi; regala ore in più da dedicare ai propri interessi, permette (nonostante tutto) di arrivare al lavoro più lucidi e senza aver la barba modellata dal segno del cuscino e soprattutto consente di scoprire spazi inesplorati della città, connettendo nuove storie a luoghi inediti.

Ed è proprio uno di questi, ribattezzato “Precollinear Park” l’oggetto del racconto di “#Insoldoni” di oggi: un luogo abbandonato che sta sorgendo a nuova vita grazie agli sforzi collettivi di un manipolo di sognatori pratici, concreti e appassionati di city imaging, riuniti sotto il nome di “Torino Stratosferica”.

Un “parco urbano lineare”, nato dall’esigenza di socialità all’aria aperta figlia della pandemia, costruito grazie ad un coinvolgimento attivo della comunità locale e sostenuto attraverso un interessante ed efficace sistema di funding mix.

Abbiamo avuto la possibilità di chiacchierare di tutto questo con Daniele Vaccai e Daniele Baldo, giovani copywriter, progettisti ed editor impegnati in “Torino Stratosferica”, facendoci accompagnare alla scoperta di questa visionaria avventura.

Ci vediamo un mercoledì di buon mattino, loro sono pazienti e precisi nel rispondere alle mie domande, la chiacchierata scivola liscia e tocca una serie di punti interessanti, di quelli in grado di lasciarti mille pensieri sui quali riflettere.

Partiamo con una domanda scontata, ma utile per inquadrare l’esperienza del vostro progetto: da dove nasce l’idea del “Precollinear Park” e quando muove i suoi primi passi? 

Daniele V: “Guarda, innanzitutto occorre precisare che l’iniziativa di “Precollinear Park” si inserisce all’interno di una più ampia riflessione sulla città, che “Torino Stratosferica” porta avanti dal 2013 (grazie alla spinta creativa di Luca Ballarini, fondatore dell’associazione e dello studio di comunicazione “Bellissimo”). 

Siamo un gruppo molto giovane (l’età media è ben al di sotto di 35 anni) che si interroga su come intervenire in città a partire dal concetto di city imaging; per questo motivo dialoghiamo costantemente con diversi rappresentanti dell’industria culturale della città (designer, architetti, editori, artisti) immaginando con loro delle azioni di mediazione che possano generare un impatto positivo sul territorio.

Abbiamo notato tempo fa l’ex area di transito del tram che collegava corso Regina Margherita a Piazza Hermada, intuendo che potesse avere un potenziale importante, per trasformarsi da zona dismessa a spazio di socialità e di costruzione di comunità all’aria aperta.

Le nostre riflessioni hanno però avuto una spinta propulsiva nel giugno 2020, al termine del primo periodo di lockdown dovuto alla “prima ondata covid”: quel momento di costrizione involontaria in casa ha fatto emergere la necessità di generare spazi di socialità “sicura”, all’aria aperta, per poter riprendere le fila della propria vita e magari incontrare persone nuove, fare nuove conoscenze. Si tratta di un’idea nata all’interno di una delle nostre “visioning session”, i momenti di lavoro dedicati all’immaginazione, che costruiamo attraverso il coinvolgimento attivo della comunità locale nei luoghi dove vorremmo intervenire.”

Daniele B: “Esattamente. Abbiamo scelto di lavorare su quel territorio andando sul campo, invitando i residenti a partecipare con noi a degli incontri nell’area dove poi è sorto il parco per raccogliere stimoli ed esigenze che ci permettessero di creare un intervento che raccogliesse le necessità locali. Non abbiamo imbastito una campagna pubblicitaria massiccia quindi, ma abbiamo usato i canali social dell’associazione e abbiamo cercato di coinvolgere efficacemente gli esercenti e i punti di riferimento del quartiere per invitare le persone a partecipare.

Durante questi primi appuntamenti – ai quali hanno partecipato anche numerosi giovani provenienti da altre zone della città – abbiamo organizzato i nostri primi esperimenti di raccolta fondi, preparando delle cassette per le donazioni che rimanessero a disposizione di chi partecipava agli incontri: così facendo abbiamo iniziato a raccogliere delle piccole cifre, ma molto importanti, perché testimoniavano l’interesse da parte della comunità locale verso la nostra iniziativa.

In questo periodo abbiamo anche iniziato a raccogliere i contatti email dei partecipanti, per poterli aggiornare sugli sviluppi e avviare una relazione con loro”.

Daniele V: “Da giugno a settembre 2020 abbiamo quindi dato vita ad una serie di eventi culturali – piccoli concerti, presentazioni di libri, mostre a cielo aperto… – che potessero iniziare a mostrare le potenzialità dello spazio, accendendo una luce su quest’area dismessa e permettendoci di provare a portare il percorso ad un passo successivo”.

Un quadro interessante; non un intervento “calato dall’alto”, ma un’idea condivisa con gli attori sul territorio e con diversi stakeholder, quasi costruita un pezzetto alla volta raccogliendo le istanze di soggetti diversi.

Nel contesto è nata anche l’esperienza dei “Volontari del Precollinear Park”: volete raccontarci chi sono queste persone e di cosa si occupano? 

Daniele V: “L’esperienza dei Volontari nasce nel novembre 2020. All’inizio non avevamo pensato alla possibilità di costruire un gruppo di lavoro che potesse prendersi cura dell’area settimanalmente: anche questa intuizione nasce come risposta alla situazione di emergenza sanitaria, che nell’autunno del 2020 aveva ripreso a peggiorare… per garantire continuità al gruppo avvicinato durante l’estate, abbiamo creato un appuntamento fisso (tutti i sabati, dalle 9.30 alle 17.30), in modo da continuare ad offrire la possibilità di socializzare mettendosi al servizio dell’area.

Una intuizione di Luca (Ballarini), che ha potuto svilupparsi grazie all’avvicinamento di una persona esperta in botanica e giardinaggio, per la quale abbiamo creato il ruolo dell’“Urban Botanist”.

Con un solo strumento siamo quindi riusciti a rispondere ad esigenze diverse: garantire una valvola di sfogo e socialità nel periodo più duro della pandemia, prendendoci cura di uno spazio urbano dismesso e avvicinando moltissimi giovani (50/60 ogni sabato) provenienti da Torino e non solo.

Un successo sotto tanti punti di vista, che forse ha nella “sessione esami” (ride) il suo peggior nemico, visto che i volontari sono per la maggior parte studenti universitari.

Diciamo che possiamo caratterizzare l’esperienza dei volontari come un buon processo di community building [o come piace dire a noi, di “people raising” n.d.A], che ha permesso inoltre di convogliare gli sforzi di alcuni dei volontari del parco verso altre attività dell’associazione: alcuni di loro infatti hanno iniziato a partecipare ai nostri gruppi di lavoro, come le “Design Units”.

Molto interessante davvero. Veniamo però alla “domanda da fundraiser”: per quel che potete dirmi, quale strategia avete adottato per rendere questo percorso sostenibile? 

Daniele B: “Utilizziamo una strategia diversificata per garantirci i fondi. “Torino Stratosferica” ricerca il sostegno di alcune aziende locali per realizzare le sue attività: nel caso del Parco, abbiamo ricevuto sostegno economico da tante realtà del territorio, anche medio piccole, sotto forma sia di donazione che di sponsorship.

Ad esse si sono affiancate realtà di dimensioni più importanti, che ci hanno fornito beni e servizi necessari alla vita del progetto: penso ad Amiat (partecipata pubblica per la raccolta rifiuti, n.d.A) che ci ha donato l’installazione dei cestini e garantisce il recupero della spazzatura, a Smat (partecipata pubblica per la gestione dell’acqua, n.d.A) che ha portato l’irrigazione per le attività di manutenzione e giardinaggio, a Iren che ci ha permesso di installare l’impianto di illuminazione.

Da qualche tempo inoltre abbiamo lanciato delle iniziative di fundraising classico: una campagna di crowdfunding per raccogliere le donazioni in forma digitale e la cassetta fisica utilizzata durante gli eventi. Su questo fronte stiamo ancora muovendo i primi passi, nessuno di noi ha una formazione specifica in materia, ma ci piacerebbe via via implementare.”

Daniele V: “Esatto, e inoltre ci siamo dedicati alla progettazione su bando: call e finanziamenti vari costituiscono una parte importante delle nostre entrate”.

Un bell’esempio di funding mix! Bravi! Credo che la vostra storia possa essere molto “ispirativa” per i lettori del nostro blog… e chissà, magari anche per i giovani che avete avvicinato grazie a questa iniziativa.

Avete detto che molti non sono nemmeno torinesi, ma universitari fuorisede… chissà che, una volta tornati a casa, non possano portare con sé alcune delle cose imparate grazie al vostro lavoro. Sarebbe un bell’esempio di disseminazione!

Non voglio portarvi via altro tempo, quindi andrei a chiudere l’intervista con la classica “domanda da Sanremo”: che messaggio vi sentireste di lanciare a dei “giovani innovatori” come voi?

Daniele V: “Eh – sospira – questa è la domanda più difficile eheh. Diciamo che, dovendo scegliere, proporrei due cose:

  1. avere le idee CHIARE sull’obiettivo verso cui tendere. La confusione non aiuta l’organizzazione.
  2. Dialogare non con tanti, ma con TUTTI: ascoltare ogni punto di vista, approfittare di ogni incontro e dopo scegliere. Ma essendosi confrontati con ogni parere.

Daniele B: “Sono d’accordo, mi sembrano i primi elementi da cui partire.”


L’intervista è finita.

Salutandoci, i ragazzi mi invitano a partecipare alla presentazione di un documentario prodotto dall’associazione (già premiato al Festival di Detroit) sul tema dell’immaginazione applicata alla città: appunto mentalmente la data (domenica 27 febbraio, cinema Massimo Torino, maggiori informazioni qui) e chiudo la chiamata.

E’ stata indubbiamente una bella chiacchierata!

Attorno al “Precollinear Park” ho visto tanta passione, curiosità e competenza, ingredienti essenziali per la riuscita di un buon lavoro…direi che potremmo trarne alcune “lezioni di ordine generale”, come nello stile di Fundraising KM0.

  1. Saper reagire alle situazioni avverse con creatività. Abbiamo tutt3 patito il peso di questi lunghissimi anni di emergenza sanitaria… saper identificare in una notte tanto lunga un bisogno sociale impellente e attrezzarsi per rispondervi in maniera creativa costituisce un plus da non sottovalutare, una bella lezione da portare a casa.
  2. La relazione diretta con i beneficiari PAGA SEMPRE. E’ tanto semplice quanto efficace: nessuno di noi ha la sfera di cristallo, e per quanto l’esperienza, gli studi, la nostra coscienza politica e sociale ci portino ad ipotizzare possibili soluzioni per problematiche reali, sarà solo la prova del campo a dirci se avremo avuto l’idea giusta o meno. E’ un principio quasi etnografico ma fondamentale nel fundraising: senza confronto continuo, non avremo le soluzioni giuste da proporre e le nostre campagne stenteranno a funzionare. Quindi “ascoltare – ascoltare – ascoltare” ripetuto come un mantra e POI scegliere a ragion veduta: otterremo molto di più, valorizzando al meglio la componente umana del lavoro.
  3. L’importanza di un efficace funding mix e della valorizzazione delle donazioni in kind: non sempre un versamento economico è la soluzione. Magari installare le luci di un parco permetterà al nostro stakeholder (aziendale, in questo caso) di sentirsi maggiormente partecipe dell’iniziativa, e porrà le basi per una relazione da curare nel tempo. Oltre che generare un impatto economico presumibilmente maggiore di quanto avremmo ottenuto con una richiesta di donazione “diretta”…insomma, facciamo un buon budget iniziale e poi via di fantasia e creatività!

Spero che questa chiacchierata vi sia piaciuta e vi abbia incuriosito a scoprire qualcosa di più sull’esperienza di questa bellissima realtà.

Quanto a me, inizio a sentire puntati sulla nuca gli occhioni verdi dell’involontaria generatrice di questo articolo…qualcuno sta chiedendo insistentemente di uscire.

Chissà che la meta non sia proprio il Precollinear Park!

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