Venerdì scorso sono tornato, dal lato del formatore, al Master in Fundraising di Forlì. È stata un’occasione ghiotta sia sul piano lavorativo che sul piano personale: il Master è un dei grossi banchi di prova su cui misurarsi.
Intrattenere un’aula di 34 persone ha confermato due mie nette impressioni su come si sta sviluppando il mercato della formazione sul fundraising italiano. Domanda e offerta stanno aumentando visibilmente, con delle “deviazioni” mica da poco:
- si fanno avanti scuole e corsi che partono da una mera considerazione imprenditoriale: il fundraising tira, e quindi apro formazione sul tema, seppure io imprenditore della formazione di ‘sta roba non ne sappia nulla. I più assennati si dotano di formatori preparati, ma c’è anche chi non lo fa (sigh!). Detto altrimenti: più offerta, ma iniziano a vedersi proposte da latte alle ginocchia
- è chiaro che l’età media dei corsisti si sta abbassando, con punte di under 30. Il fundraising piace, incuriosisce, stimola e nella sua “non specializzazione” nell’immaginario sta diventando una spiaggia non poi tanto diversa dalla vendita. Come un bravo venditore non necessariamente proviene da un percorso di vendita, pure un fundraiser può essere figlio di varie ibridazioni e salti evolutivi. Queste considerazioni (sbagliate) trovano terra fertile nei “corsi di formazione-caramella” di cui sopra.
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