Questo articolo è stato scritto con The Good Social
A fine di settembre c’è stato l’evento zero di #Socialchangers.
#Socialchangers nasce da un incontro casuale: quello tra Fundraising Km Zero e The Good Social.
Alla base di entrambe le realtà, la volontà di riappropriarsi di una dimensione “umanocentrica” del Terzo Settore, che tralasciasse i decreti legislativi e le comunicazioni all’Agenzia dell’Entrate per tornare alle persone. Volontari, utenti, beneficiari, operatori.
Una dimensione che non parli più solo per e a se stessa e per compartimenti stagni, piena di voglia di ricreare quegli spazi di confronto e dibattito che per decenni hanno caratterizzato il non-profit come un attore cruciale nella cittadinanza attiva e che oggi, hanno preso connotati diversi a metà tra la fluidità, la piazza e il mondo digitale.
Nascono dall’humus della terra e faticano a inquadrarsi nella, sempre in itinere, riforma che sta per spegnere la sua sesta candelina nel panorama legislativo italiano.
A guidare questi “nuovi” movimenti è una generazione che, come sostenuto dall’ANSA:
“…si rivela attenta nel non sprecare cibo e risorse e orientata verso scelte e abitudini sempre più eco-friendly. […] si dimostra sempre più sensibile ai temi che riguardano la sostenibilità, intesa maggiormente come rispetto e difesa ambientale (41%), ma anche presa in considerazione dal punto di vista sociale (23%) e alimentare (33%).”
Rappresenta, probabilmente, la prima generazione formata e competente che popola gli uffici di piccole/medie/grandi onp (Organizzazioni Non Profit) e che cerca l’allineamento ai propri valori come condicio sine qua non nel proprio ambiente lavorativo. Due su cinque sono i giovani appartenenti a Millenials e Gen Z che rifiutano lavori o compiti in caso di discrepanza con i propri ideali e allo stesso tempo, se soddisfatti dall’impatto sociale e ambientale dei loro datori di lavoro, s’impegnano per creare una cultura diversificata e inclusiva con maggiori probabilità di voler rimanere nel medesimo posto di lavoro per più di cinque anni (Deloitte, The Deloitte Global 2022 Gen Z & Millennial Survey).
Partendo da questi assunti è stato costruito il primo incontro che ha visto coinvolti Francesco Ambrogetti (UNICEF), Elena Detomati (InVento Lab), Diego Maria Ierna (Job4good), Federico Mento (Ashoka) per parlare di Terzo Settore, lavoro e nuove generazioni.
Il cambiamento è l’elemento che caratterizza le nuove generazioni a sottolinearlo è Federico Mento (ASHOKA), che continua:
“la ricerca di senso delle giovani generazioni è collegata al cambiamento, perché vi si trovano immerse…è ciò che caratterizza l’epoca nella quale si stanno formando, si sono formate e vivranno in futuro”.
Lo confermano anche gli altri relatori rispetto alla sensibilità attribuita alle nuove generazioni e che molte volte varca la soglia degli uffici con loro.
Risulta, quindi, in una costante ricerca di allineamento tra il proprio mondo valoriale e quello “reale”, perché, come sostiene Elena Detomati (InVento Lab):
siamo di fronte a una generazione che “vuole lavorare per quello in cui crede”
muovendosi tra attivismo e la scoperta dei propri valori.
A questo aggiunge Diego Maria Ierna (Job4Good), consegue anche
una crescita del settore stesso, che sta imparando ad accogliere la voglia di cambiamento di questa generazione risultando in un’attenzione maggiore all’engagement interno delle stesse organizzazioni.
Francesco Ambrogetti (UNICEF), invece, ci pone di fronte alla diversificazione delle metodologie di attivazione. Sicuramente
più semplici per un giovane, ma anche più individualiste: non vi è la necessità di aderire a un movimento, i valori costellano le scelte quotidiane di ognuno di noi e sono facilmente accessibili grazie alla varietà di alternative.
E mentre tutto il mondo si muove verso un approccio quasi definibile value-oriented, il non-profit che ne dovrebbe essere un baluardo continua a essere percepito, e forse anche a comportarsi, come un interlocutore di serie B nel mondo del lavoro. Eppure, con il suo ruolo sussidiario (finalmente normato ndr) e con un fatturato di 80 miliardi pari al 5% del PIL (Intesa San Paolo, SRM, 2020), il Terzo Settore non può più essere “l’esame a scelta”.
Secondo i nostri relatori, Federico Mento (Ashoka) e Diego Maria Ierna (Job4Good), questo perché
il Terzo Settore, a causa della necessità di reperire finanziamenti e rispondere a dei bisogni ben specifici, si pone spesso come un service-provider limitando l’approccio innovativo e d’impatto.
La stessa persona, quindi, preferisce orientarsi verso una realtà che ha certamente un’attenzione particolare ai temi sociali e ambientali, ma che non afferisce direttamente al Terzo Settore.
Alla limitatezza di un settore che spesso è in modalità survival, si aggiunge anche il poco valore che viene dato alla persona inserita. Non solo in termini salariali ma anche e soprattutto circa le possibilità di crescere, l’ambiente, gli strumenti e il riconoscimento.
“La passione per le buone cause non è sufficiente per lavorare”,
ci dice Francesco Ambrogetti (UNICEF) e, soprattutto, come ci ha dimostrato il COVID-19, abbiamo bisogno di tutte quelle realtà che continuano ad avere a cuore gli angoli di mondo più difficili e complessi. Se durante la pandemia si fossero fermate le Croci, i centri per disabili, i volontari degli enti sanitari o il volontariato in generale… che cosa sarebbe successo?
Eppure, non possiamo ignorare che è la passione per le buone cause che sta guidando moltissimi giovani, spesso gli stessi che troviamo seduti alle scrivanie dell’ente o della B corp di turno, nel creare movimenti, nel fare rumore.
Le cause globali diventano locali ma non annullano mai la loro dimensione più ampia e worldwide. Questi stessi attori cercano modi, nuovi ed efficaci, per misurare l’impatto di quel che fanno con l’obiettivo di rispondere a bisogni concreti e con la consapevolezza che solo impegnandosi su un livello “grassroots” si può fare realmente la differenza.
La scala d’azione è locale ma agisce su uno spettro più ampio tenendo di conto la crescente intersezionalità delle rivendicazioni e dando un ruolo sempre più importante all’elemento del digitale, che riesce a unire le lotte. Le attiviste dell’Argentina, dell’Iran o dell’India, sono nelle loro piazze e allo stesso tempo in tutte le piazze del mondo. La dinamica è quella della networked protest, basata sulla velocità, i numeri e la condivisione di obiettivi che lo strumento digitale può effettivamente conferire a un movimento (Bullon-Cassis L., Democratic Disenchantments: Fridays For Future, Black Lives Matter And Covid-19, 2020).
Ecco, se gli stessi movimenti da cui sono nate molte delle organizzazioni che oggi troviamo nello scenario non-profit hanno cambiato la propria genesi e i propri connotati, come possiamo pretendere che chi vi lavora dentro (soprattutto se proveniente da un substrato come quello succitato) si adatti alla casellina giusta?
Il giovane è anche disposto a fare “la gavetta”, lo stage, ma questo deve avere dei risultati ancora una volta in termini di cambiamento, crescita e innovazione. I nostri uffici sono in grado di farlo?
Questo primo incontro ci ha portati fin qui. Non abbiamo risposte.
Sappiamo che il paradigma che ha mosso l’attivismo e i movimenti dai suoi arbori fino a oggi sta cambiando e cambia sulle basi dei nuovi stimoli, dei nuovi strumenti, dei nuovi canali e delle battaglie, prima sopite, ma che oggi sono diventate prioritarie.
Ci troviamo in una società che certamente diventa sempre più liquida, secondo la definizione di Bahuman, dove i confini e i riferimenti sociali si perdono e proprio per questo si aggancia con sempre più forza alla realtà e alle lotte: entrambe entità che faticano a entrare in caselle predefinite.
E sappiamo tutti, altrettanto bene, di essere in un tempo che richiede un forte investimento di umanità, in cui il talento, il cambiamento e la crescita non devono essere visti come avversari o minacce.
Bensì, devono poggiare sui piedi ben piantati di chi ha costruito questo settore nel tempo e con la passione etica che lo contraddistingue perché senza la società civile, come sosteneva il buon Václav Havel, non si arriva lontano.
Isabella Lalli – Ideatrice e organizzatrice di #Socialchangers
isabella@terrachiamafundraising.it
The Good Social – Ideatori e organizzatori di #Socialchangers
Bibliografia
Ansa (2021),”Adolescenti come Greta Thunberg, sempre più sensibili alla sostenibilità” .
Bassi A. (2020), “Le sfide dell’impresa sociale nel terzo millennio. Il tramonto dei baby-boomers: è il tempo dei millennials”, Impresa sociale.
Bullon-Cassis L. (2020) “Democratic Disenchantments: Fridays For Future, Black Lives Matter, And Covid-19“.
Deloitte (2022), “Striving for balance advocating for change”
Intesa San Paolo (2020), “I nuovi scenari economici di fronte alla sfida del Covid-19 Il ruolo dell’economia sociale in Italia e nel Mezzogiorno”, Quaderni di Economia Sociale.
Polizzi E., Vitale T. (2017). “Riforma del Terzo settore: verso quale approdo?”. Aggiornamenti sociali pp.102-112. ffhal-01767034f