Uno spettro si aggira per la Francia: le elezioni a ritmo di crowdfunding e fundraising

Uno spettro si aggira per la Francia: le elezioni a ritmo di crowdfunding e fundraising

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Articolo dello chef du fund Giacomo Molinari. Grazie!


 

Uno spettro si aggira per la Francia: quello del…fallimento economico.

O almeno, questo è ciò che si pensa nelle sedi di alcuni dei partiti politici che hanno espresso candidate e candidati per l’ultima tornata elettorale delle Presidenziali d’Oltralpe.

Ma facciamo un passo indietro.

10 aprile 2022: le cittadine e i cittadini della République sono chiamati alle urne per decidere chi prenderà il posto di Emmanuel Macron all’Eliseo.

I candidati sono tanti, come sempre in queste occasioni: oltre al presidente uscente, in cerca di conferme dopo i primi 5 anni di mandato, si presentano alla sfida elettorale il Rassemblement National di Marine Le Pen (altra candidata data per favorita, che affronterà Macron al ballotaggio del 24 aprile), Jean – Luc Melenchon per La France Insoumise (arrivato terzo) e a seguire Anne Hidalgo per il Partito Socialista, Jean Lassalle per Résistons, Yannick Jadot per i Verdi, Nicolas Dupon – Aignan per Debout, Nathalie Artaud per Lutte Ouvrière, Valérie Pècresse per i Repubblicani, Philippe Poutou per il Nouveau Parti Anticapitaliste, Fabien Rousselle per il Partito Comunista ed Eric Zemmour per Reconquet.

Un bel mucchio selvaggio, espressione di posizioni diversissime che hanno dato vita ad un dibattito frizzante ed estremamente polarizzato il cui esito avrà un effetto dirompente non solo sulla Francia ma sull’Europa intera.

Da buon flippato di politica quale sono, stavo cercando notizie sull’evoluzione della situazione e nel mentre ragionavo su cosa proporvi per il nostro “Fundraising all’improvviso”…quando l’occhio mi è cascato su quest’ottimo articolo de Il Post.

Il tema raccontato dal giornalista è inusuale quanto interessante: per farla breve (ma l’articolo leggetelo, mi raccomando) il sistema elettorale francese prevede sia un tetto massimo per le spese sostenibili da ogni candidato alla Presidenza che una soglia minima di accesso al di sotto della quale si avrà diritto al rimborso di una piccolissima parte delle spese sostenute per le differenti campagne.

In soldoni, i partiti e candidati che superano il 5% di preferenze avranno diritto ad un rimborso pubblico pari al 47,5% del tetto di spesa fissato dallo Stato (fino ad un massimo di circa 8 milioni di euro). Coloro i quali si fermeranno al di sotto della fatidica soglia, invece, avranno diritto ad un rimborso pari solamente al 4,75% del medesimo plafond, pari a circa 800.000 euro.

Va da sé che quasi tutti i partiti cerchino di comporre campagne che sforino di poco la soglia psicologica degli 800.000 euro, in modo da non doverci rimettere troppo qualora le cose non andassero come previsto: ma se si tratta di partiti storici, che in tempi recenti hanno anche espresso presidenti, o di Movimenti ai quali gli exit poll assegnavano un risultato molto maggiore rispetto a quello realmente ottenuto alle urne? 

Va da sé che la situazione rischia di scappar di mano, e le conseguenze possono essere drammatiche.

Ed è esattamente quel che è successo ad alcuni dei candidati sopracitati, in particolare a Valerie Pecresse dei Repubblicani e Yannick Jadot dei Verdi: cause diverse, storie differenti, un medesimo largo sforamento di soglia 800K…e un risultato che non consente di andare oltre lo sbarramento del 5%.

Insomma, una bella gatta da pelare, per risolvere la quale i due candidati stanno facendo riferimento al mondo del…fundraising, in particolare del crowdfunding.

Per curiosità sono andato a cercare le dichiarazioni relative alla campagna su Twitter, cercando col mio scarso francese di intendere quale registro comunicativo sia stato adottato dai rispettivi team per convincere gli elettori a sostenere economicamente i candidati sconfitti.

L’analisi, per noi fundraiser, è interessante: Madame Pecresse adotta uno stile catastrofista, da atto finale. 

“L’appello nazionale al dono”, rivolto ai cittadini ai quali la candidata chiede di “aiutarla a salvare la sorte della destra repubblicana!” si articola secondo un codice comunicativo preciso: una chiamata alle armi generale, condita dai colori della bandiera repubblicana (che campeggiano in ognuna delle sezioni del sito allestito per le donazioni) rivolta ad un elettorato repubblicano in fuga. 

Dal suo punto di vista è comprensibile: bisogna rientrare delle spese di una campagna costosa che alla candidata pare aver fruttato un indebitamento personale di almeno 5.000.000 di euro.

Una cifra importante che se non recuperata rischia di compromettere seriamente l’esistenza stessa del partito storico della Destra francese, aggravando uno scenario già turbato dall’emorragia di voti subita dalla in favore dei candidati delle formazioni più estremiste (Le Pen e Zemmour su tutti).

Anche le modalità previste per le donazioni riflettono una segmentazione dei donatori che riflette lo spettro elettorale di riferimento dei Repubblicani: si parte da un sostegno minimo di 40 euro fino al pulsante per le “donazioni libere superiori a 4600 euro”. 

Gli unici sistemi accreditati per donare sono le donazioni bancarie e gli assegni e viene dato grande risalto alle possibilità di recupero fiscale di quota parte della cifra donata; possiamo quindi ipotizzare che si tratti di una campagna allestita pensando a donatori provenienti dalle media e alta borghesia, tendenzialmente di età elevata e sui quali il messaggio neogollista offerto dal partito riesce ad avere una presa maggiore.

Diverso il caso di Monsieur Jadot: il fatto di rappresentare un partito più piccolo, con le spalle “libere” dal peso della Storia e un passato da attivista e campaigner per Greenpeace hanno portato il candidato degli ecologisti a propendere per una soluzione basata sulle piccole e micro donazioni.

“Se ogni elettore di Yannick donasse 3 euro, avremmo risolto il problema” twitta Julien Bayou, segretario del partito e spin doctor della campagna di Jadot.

Una maratona di raccolta (già soprannominata “Jadothon” sui principali giornali francesi) orientata quindi ad un elettorato più giovane e/o più avvezzo sia ai sistemi di donazione digitale che al sostegno – anche con piccole cifre, visto il minor potenziale di spesa – di campagne sociali.

Esattamente il bacino di utenza maggiormente interessato al messaggio dell’”ecologia politica” rappresentato da Jadot, che costituisce lo zoccolo duro dell’elettorato del suo partito.

A questi messaggi è stato affiancato un sito più tradizionale, con scaglioni di donazione preselezionati (per quanto più bassi; si va dai 20 fino a un massimo di 300 euro) e la possibilità di stabilire una donazione regolare mensile per “sostenere l’ecologia”.

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Una full immersion peculiare, in un sistema – quello francese – che ci ha già abituato a questo tipo di situazioni (la “Sarkothon” dell’ex presidente Sarkozy che fruttò ben 11 milioni di euro in tempo record ha fatto storia) pur non caratterizzandosi come un sistema politico particolarmente donor oriented.

A livello europeo, la vera linea di frattura riguardo questo modo di approcciarsi alla costruzione delle campagne parrebbe correre lungo la Manica: è il mondo anglosassone la punta più avanzata della riflessione, con una concezione della partecipazione alle campagne elettorali più concentrata nel tempo e immersiva (campagne brevi, spesso feroci, durante le quali mobilitare ampie fette della popolazione chiedendo consenso e sostegno).

Un esperimento che ha trovato negli USA la sua forma più compiuta ma che anche in terra britannica offre degli spunti interessanti (voglio qui citare il lavoro di Paul De Gregorio, campaigner e attivista nonché fondatore di una agenzia dedicata a questi temi, “Rally”).

Anche in Italia, come ben sa chi si sia mai approcciato a una campagna elettorale, il tema delle risorse in sostegno ai candidati e ai partiti tiene banco: soprattutto negli ultimi anni, una certa vulgata si è spinta molto in là nel proporre (e ottenere) addirittura l’abolizione* del finanziamento pubblico alle formazioni elettorali, costringendo i candidati – specie quelli indipendenti o chi corre per competizioni “minori” – ad autorganizzarsi.

La nostra legislazione prevede a tale scopo la presenza della figura del mandatario elettorale, vale a dire di una persona di fiducia del candidato predisposto a gestirne gli aspetti economici e rendicontativi della campagna.

Ma siamo ben lontani dal modello anglosassone e meccanismi pur consolidati (citiamo a titolo di esempio la destinazione del 2*1000) fanno fatica ad affermarsi quando non incontrano l’esplicita ostilità dell’elettorato.

Insomma, un tema ricco e seminale, sul quale tanto si potrebbe dire e in grado di offrire numerosi spunti di riflessione: sia come argomento di studio e dialogo (mi piacerebbe sapere cosa ne pensate) che come settore lavorativo da esplorare.

Avremo tempo e modo di approfondirlo, magari in sessioni tematiche organizzate ad hoc: per intanto, seguire gli sviluppi di quanto sta succedendo in Francia costituisce un buon case study da cui partire, oltre che una competizione appassionante da seguire.

*nota a margine: pur senza volermi addentrare nel ginepraio della questione relativa al finanziamento pubblico ai partiti, ci tenevo a condividere alcuni dati che credo possano offrire un quadro per una riflessione seria in materia. Una chiosa che spero possa interessarvi!

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