Questo ottimo articolo per chi fa fundraising nelle piccole organizzazioni è dello chef du fund Liborio Sacheli. GRAZIE!
Dopo aver preso un caffè in dolce compagnia, Riccardo Del Turco cantava del sentire e del sentirsi diverso, come se fosse cambiato qualcosa, probabilmente in meglio! Un po’ come mi sento io a metà mattinata dopo aver preso il secondo (o era il terzo?) caffè della giornata, e un po’ come ci sentiamo quando si dona: è da diversi anni infatti che nella comunità scientifica si parla del cosiddetto “warm glow”, quella sensazione piacevole di calore che ci fa stare bene e sentire meglio quando doniamo qualcosa (anche del tempo) alle altre persone e che scaturisce nel “helper’s high”, lo stato di euforia della persona che dona paragonabile a quello dell’atleta durante la pratica sportiva prolungata.
Senza scendere troppo nel dettaglio, cosa che chiamerebbe in causa endorfine, dopamina, serotonina e altre parole da ricercare in qualche manuale di medicina, mi sono chiesto se esiste un luogo in cui caffè e donazione, e gli stati di euforia o serenità che ne seguono, combaciano. Pensa che ripensa, sono andato a prendere un caffè in un bar vicino alla stazione, e guardando alla vetrina piena di pastiere, sfogliatelle ricce e frolle, mi è venuta in mente Napoli, con la sua secolare esperienza e tradizione del caffè sospeso, emblema della solidarietà partenopea:
“Quando un napoletano è felice per qualche ragione, invece di pagare un solo caffè, quello che berrebbe lui, ne paga due, uno per sé e uno per il cliente che viene dopo. È come offrire un caffè al resto del mondo…”
Così scriveva Luciano De Crescenzo ne “Il caffè sospeso”, ripercorrendo ricordi di vita e articoli, osservazioni e commenti su questo rito solidale* in cui un avventore del bar dona un caffè ad uno sconosciuto, spesso una persona bisognosa che potrà consumare una tazzina offerta dal cliente precedente, a sua volta a lei sconosciuto. Insomma, un modo per donare felicità a chi entra nel bar dopo di noi, condividendo idealmente una tazza di caffè in quel luogo, sentendoci bene, provando appunto quella sensazione piacevole di calore. E se si potesse condividere un caffè, o meglio donarlo, virtualmente, in un non-luogo?
La risposta mi è arrivata da Instagram, nello specifico dalle storie del prof. Giuseppe Tipaldo, sociologo e professore presso il Dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università degli Studi di Torino. Sul suo profilo, @giuseppet1980, il prof. Tipaldo dà dei consigli su come scrivere la tesi, oltre che su libri, metodo e PhD, e parla di sociologia “per dipanare l’attualità”, utilizzando Instagram come “ luogo se non di incontro quantomeno di scontro moderato e argomentato di orizzonti diversi, altrimenti inconciliabili nelle arene online, una sorta di vaccino culturale per difendersi da informazioni quantitativamente eccessive e spesso qualitativamente contraddittorie”, attraverso la “pratica collettiva dello scetticismo metodologico”.
Il prof. Tipaldo prende spunto dunque da argomenti di attualità per confrontarsi con le persone che compongono la sua community, a partire dalle studentesse e dagli studenti che frequentano i suoi corsi.
Ma cosa c’entra il caffè? Qualche settimana fa, il prof. Tipaldo ha condiviso nelle sue storie alcuni contenuti su dei libri, alla fine dei quali ha chiesto alla sua community di sostenerlo. In che modo? Condividendo, taggando e commentando (di fatto interagendo con lui) e/o offrendogli un caffè su Ko-Fi.
Ko-Fi (che mi piace pensare sia una sigla per Ko-Financing) può essere “un semplice barattolo per le mance, un posto per costruire una community di sostenitori regolari o un modo super-semplice per vendere prodotti e commissioni con un solo link”: una piattaforma insomma per ricevere supporto per il proprio lavoro, in cui è possibile anche definire un obiettivo come in una campagna di crowdfunding!
Chi atterra sulla piattaforma può decidere di donare una tantum (gli inglesi direbbero one-off) o in maniera regolare, a partire dall’importo che il creatore o la creatrice del profilo ha stabilito per la tazza di caffè virtuale. Su queste donazioni Ko-Fi non trattiene nessuna commissione, fatta eccezione per quelle di Stripe e PayPal collegate alla piattaforma, ed è possibile integrarla con i principali social media, tenendo bene a mente di condividere dei contenuti con la propria community a prescindere dal tipo di donazione.
Ko-Fi si configura infatti come una piattaforma accessibile ed inclusiva, su cui tutti i donatori, a prescindere dalla loro posizione nella famosissima piramide, possono essere protagonisti e felici di sostenerci, condividendo ad un tavolino virtuale la gioia di un caffè sospeso!
Cosa possiamo imparare allora dai caffè su Ko-Fi?
- è possibile coinvolgere tutta la community, ma proprio tutta, con un mezzo semplice e accessibile a tutte e tutti…basta solo cercarlo o crearlo, con un pizzico di creatività (o di fortuna)!
- un caffè vuol dire condivisione, che siano due chiacchiere davanti ad una tazza bollente al bar o nell’ufficio davanti alla macchinetta, e quasi sempre condivisione vuol dire felicità: donare rende infatti felici, fa sentire parte di qualcosa di più grande! Perché non farle queste due chiacchiere, anche con chi dona? Diffondiamola sta felicità, anche con un caffè!
*in Argentina esiste un rito simile, dal nome “empanada pendiente”. Chi me ne offre una?
Per saperne di più:
https://health.clevelandclinic.org/why-giving-is-good-for-your-health/