+Elena Zanella nel suo ultimo intervento su Vita da brava “zanzarella” ha toccato qualche nervo scoperto titolando l’articolo “Non si diventa fundraiser leggendo un libro”. Dopo 3 anni e più on the road (pochi magari ma, giuro, intensi intensi intensi) sento finalmente una certa chiarezza su questo tema. Tante volte, spesso in lunghe telefonate, mi son trovato a rispondere alla domanda: “Cosa mi consigli di fare per cominciare a lavorare come fundraiser? Questa o quella scuola? Tirocini dove se ne fanno?”. Mica facile rispondere! Il pensiero più chiaro che ho è questo: studiare bisogna (ma c’è un limite), provare bisogna (e non c’è limite).
Studiare fundraising, marketing per il terzo settore, diritto, economia e organizzazione aziendale del no profit: serve. Eccome! Per esempio, gira qua e gira là, incontri spesso ottimi consulenti che vengono dal profit e collaborano col terzo settore. Alcuni sono formidabili per esperienza professionale, ma nella gran parte dei rapporti consulente-organizzazione avere assimilato cos’è il terzo settore nelle sue dimensioni culturale, giuridica, organizzativa, economica, statistica fa una differenza abissale.
Ma quanto alla qualifica, per poter scrivere su un biglietto da visita “Sono uno che di fundraising e terzo settore ne capisce: fidati e …chiamami!”, studiare mille anni da solo non può dare titolo a farlo. Il fundraiser “titolato”, e mi è sempre più chiaro cliente dopo cliente, formazione dopo formazione, consulenza dopo consulenza, azione sul campo dopo azione sul campo, è quello capace di raggiungere assieme all’organizzazione i cambiamenti / miglioramenti concreti (nelle strategie, nell’organizzazione, nella comunicazione, tecnologici, nelle azioni di raccolta, anche nella progettazione dei servizi etc) necessari per lanciare o esprimere il potenziale di raccolta fondi.
Alla fine fa fede lo specchietto: “previsto-raggiunto” e “previsto-non raggiunto”, il patto d’impegno congiunto tra consulente e organizzazione. In questo percorso condiviso dei risultati devono esserci. Non per forza di natura economica, ma guai anche a chi si nasconde sempre dietro al paravento “quando ho trasferito un metodo, ho fatto tutto il mio lavoro”.
Insomma: più riesci, più titolo hai a farti chiamare fundraiser (e ho in mente tante persone che hanno titolo… prendi ad esempio la fundraiser +Marianna Martinoni, con cui ho la fortuna di poter collaborare, imparando molto). E per riuscire… devi provare, metterti in situazioni scomode, riflettere, confrontarti, studiare (anche sui libri, anche ai corsi). Il titolo di fundraiser si conquista soprattutto sul campo!