Il Festival del Fundraising 2014 è stato veramente una grandissima figata. Sessioni di alta qualità, spaziando dalle megaoperazioni di marketing (ma scendendo, quasi sempre, nel concreto e tangibile delle cose) alle strategie e azioni alternative per piccole organizzazioni (nota per l’Associazione Festival del Fundraising: tanti chiedono più spazio per le piccole! Che dite, facciamo qualche pensiero per l’anno prossimo?). Plenarie da urlo (la chiusura con Alan Clyaton è stata …over the top!), tanto divertimento con la serata anni ’50, i volontari hanno gestito in modo mirabile ogni situazione… quante ce ne sarebbero da dire? Tante ancora!
Quel che però per me ha reso speciale questo evento è la miriade di incontri con fundraiser esperti, in crescita, aspiranti… incontrare, ascoltare, osservare, apprezzare di persona (non solo sui social!) persone così appassionate e piacevoli è stato una cosa stupenda, davvero.
E proprio grazie a questi incontri di scambio e ascolto, dal Festival porto a casa 10 spunti su cui lavorare. Sarebbero anche di più, ma ho fatto selezione… buona lettura (ehi, in fondo c’è spazio per dire la tua!):
Se chiedi 1, muovi 10. Non solo soldi ma discussioni, criticità, scoperte, opportunità. Quanto stiamo attenti a questo fatto?
Lanciare il fundraising è come sganciare una bomba nell’organizzazione (cit. Marianna Martinoni). Il fundraising è movimento allo stato puro: ti costringe ad uscire allo scoperto, a metterti in strada, a bussare a tante porte diverse, a intessere rapporti che non avresti considerato. La raccolta fondi introduce cambiamenti tanto forti che tenere sotto controllo tutto quel che si mette in moto può essere davvero una sfida. Quanto stiamo consapevoli delle “reazioni collaterali”? L’esempio è: chiedi una grande donazione: risposta negativa. Qualche mese dopo in pochi giorni arrivano tante medie donazioni non sollecitate, da estranei, tante da superare l’importo della grande donazione. Scopri alla fine che è “causa” del figlio del grande donatore mancato. E’ rimasto colpito dalla causa e ha deciso di fare una lista di nozze solidale. Mancato un grande donatore ma ne arrivano molti di più, non calcolati, imprevedibili. Come gestisci la situazione? Come ne tiri fuori il meglio?
Cosa crea relazione? Non i grandi discorsi, ma condividere azioni ed emozioni di un incontro, della stessa esperienza.
[Questa l’ho scritta la notte prima della plenaria con Alan Clayton… questo significa che la so troppo lunga :D] Stare tra le persone organizzando un’esperienza positiva e coinvolgente per loro e attorno a loro (che sia un incontro 1 a 1 o un concerto) funziona meglio di qualsiasi diavoleria socialwebsmanettona. Il modo più rapido ed efficace si saldare e poi scaldare una relazione é creare le condizioni per avere un ricordo in comune, di poter parlare a distanza di tempo di quella sensazione piacevole e positiva che si è condiviso. Qualsiasi formatore per formare rapidamente un gruppo fa vivere ai partecipante un’esperienza di forte interazione e volutamente emozionante… gli scout in questo ad esempio sono maestri: mezza giornata di formazione tra sconosciuti e a sera siamo già amici. E’ questione di metodo: lo adottiamo anche tra i sostenitori e onp?
Se l’onp è piccola, raccoglie benino, l’ordine è parziale MA funziona ogni anno… lo chiami fundraising o è un’altra cosa?
Al Festival si è parlato (troppo poco!) anche di piccole organizzazioni. La morale è: una piccola non diventerà una “grande”… ma detto questo, può raccogliere con regolarità e metodo anche fuori dalle tavole della legge del fundraising? Se metodi, analisi, strumenti diventano diversi e non inquadrabili nei “canoni”, stiamo ancora parlando di fundraising? Per me la risposta è si… credo che il discrimine stia soltanto nella continuità della raccolta, a prescindere da tutto il resto. Se è pluriennale e il trend è sufficientemente stabile, non c’è motivo di non chiamarla raccolta fondi organizzata.
La raccolta sponsor dentro a un ente pubblico può essere una funzione solo tecnica e centrata sul marketing.
Se il Comune di Reggio Emilia grazie al suo ufficio marketing può strutturare un sistema di ricerca sponsor stabile, efficace ed efficiente, non si capisce perché altri comuni non riescano a farlo. La cosa più interessante è che il Comune di Reggio Emilia ha strutturato un servizio tecnico, dove cioè gli scambi di favori hanno un’incidenza minima nelle dinamiche tra pubblica amministrazione e impresa sponsor, perchè il professionista della raccolta fondi (ops, sponsorizzazioni) sa fare e fa il suo mestiere, e basta. In altre parole: il comune riesce a fare una bella proposta progettuale con benefit evidenti e invitanti per l’impresa e questa risponde “si” con varie decine di migliaia di € alla volta per più anni. Interessante, no? Enti pubblici di ogni tipo, c’è da studiare (e da cambiare), e non poco…
Il testimonial sconosciuto funziona meglio del vip, se ha vissuto sulla pelle anche la soluzione e la vostra efficacia.
Il testimonial celebre rischia di diventare una macchietta. A volte funziona, ma per cercare Frank Sinatra (RIP) magari finisce che ti perdi la voce bellissima degli studenti della tua accademia di musica. Il che è ovviamente un controsenso: i sostenitori vogliono il bene che la tua organizzazione può fare ad altri, non sentire Frank Sinatra, vogliono che quegli studenti possano cantare al meglio delle loro potenzialità! In Italia ci siamo arrivati decisamente tardi, ma forse per prima Rete del Dono ha saputo tradurre questa evidenza nel personal fundraising, che funziona proprio sulla base di questo principio. Nessuno è più credibile di chi vive sulla pelle il problema, di chi cerca la soluzione, di chi si sacrifica per cambiare lo status quo. Sofia Loren è grande, ma per parlare della lotta a quella malattia magari funziona meglio un paziente o un ricercatore. La tua organizzazione ci crede?
Liste di prospect nelle piccole onp. Mailing e strategie web industriali di acquisizione sono fuori portata. Ma per lavorare servono i numeri. Quindi?
Come consulente per piccole organizzazioni noto sempre più che i donatori più complicati da trovare sono quelli “piccoli”. Il perché è presto detto: per quanto possa essere di qualità la costruzione delle liste (magari partendo dal giro stretto di amici e parenti di chi vive più profondamente la mission) anche se all’inizio possono sembrare tanti, 100 donatori su cui lavorare sono pochi. Sembra uno scherzo, ma trovare medi e grandi donatori spesso è più facile. La cosa positiva è che quei 100 donatori, opportunamente coltivati, saranno molto fedeli. La cosa complicata è capire come andare oltre i 100! Il list building per le piccole onp merita ampie discussioni: i casi di successo non mancano, perchè non condividerli?
Che team minimo e quindi che previsione di costi per un piano di fundraising in startup? Quante persone, che competenze?
Come sempre: tra piccole, medie e grandi start-up cambia tutto. Operation Smile Italia “confessa” di aver avuto per 5 anni budget di centinaia di migliaia di € da investire solo nel direct response. Una piccolissima onp a volte parte solo con la voglia di darsi da fare. Ma se volessimo formulare dei modelli per lo start-up nei profili economici e organizzativi, cosa dovremmo mettere in conto? Ad esempio, se il mio obiettivo è di andare da 0 a 1.000.000€ di raccolta annuale in 5 anni, che tipo di investimenti dovrei fare? Che competenze servono? E se voglio raccogliere 30.000€ all’anno? La risposta scritta nella pietra, non esiste, ci mancherebbe! Ma le esperienze invece ci sono, e sono moltissime… ognuno farà a modo suo poi, ma gli spunti possono essere interessanti e importanti. Perché parliamo così poco di questi aspetti degli start-up? C’è paura di condividerli?
Il web moltiplica o avvia relazioni. Ma nulla è bello e forte come ri-conoscersi dal vivo. Come applicarlo alle onp?
[Detto anche: “il notturno”… quella sera non prendevo mai sonno!] Il web è importante… ma quando si parla di qualità delle relazioni e efficacia di raccolta, dare credito ai falsi miti genera grandi sprechi e delusioni. Il web apre le porte a una miriade di relazioni, ma l’impegno delle onp dovrebbe stare anche nel portarle il più possibile “offline”, per il semplice motivo che si potenziano di misura. Mi è piaciuto ascoltare in materia la sessione “da un like su Facebook al bollettino postale” (però qualche numero di budget potevate anche dirlo, amici di Sight Savers Italia! Non son mica segreti industriali… e se ritenete che lo siano: peccato!). L’idea di fondo è: che percorsi di coltivazione pianifico per fare in modo che prospect e donatori mi cerchino o incontrino anche nella vita reale? E’ un grosso investimento in termini di ideazione, tempi, spese ma probabilmente per le abitudini degli italiani di questa decade è una strada da seguire!
La piramide è teoria. Quali sono i gradini che funzionano e su cui investire risorse e energie? Quali lasciar perdere?
La piramide dice “trova tantissimi potenziali donatori, coltivali e diventeranno sempre meno ma più generosi” e così a gradini si genera il modello della piramide del fundraising: semplificando abbiamo tanti piccoli donatori alla base, un po’ meno medi donatori e pochissimi grandi donatori. Solo che poi nella realtà le cose spesso non sono modellate così. Il che non è un difetto, ma una constatazione che ci racconta che magari per quell’organizzazione e quel piano di raccolta fondi le cose possono stare in equilibrio anche in un altro modo. Portato agli estremi (es: ho solo quattro grandi donatori) allora ovviamente il discorso si fa rischioso e deleterio, ma ci sono tante situazioni intermedie e stabili che sfuggono alla piramide. La piramide è un modello orientativo bellissimo e utilissimo, ma è davvero l’unica impostazione che funziona? O detto diversamente: un piano di raccolta fondi pedissequo rispetto alla piramide, nel lungo periodo si risolve proprio secondo quell’impostazione teorica?
Se vuoi raccogliere bene, devi investire bene… e più di quanto saresti disposto a prima pelle.
Il Festival fornisce l’evidenza che le organizzazioni che stanno facendo meglio fundraising sono quelle che stanno investendo di più e meglio. La modalità di chi sta facendo un gran lavoro non è “spendere poco per raccogliere tanto”, ma piuttosto “spendere quel che è necessario per raccogliere quanto serve”. E’ assolutamente evidente che è quanto sta facendo la differenza tra gli artigiani e i professionisti, tra le organizzazione che hanno prospettiva di raccolta fondi e quelle che remano a vista, tra quelle che riescono a perseguire la mission e quelle che si chiedono se la sfida non sia troppo grande… per raccogliere bene, devi investire bene. E chi lo sta facendo, guadagna sempre più terreno sugli altri. Pronti?
Questi gli spunti che porto a casa: che ne pensate? E i vostri quali sono? Discutiamone nei commenti!
PS: ne trovi già altri su twitter … #ffr14
Caro Riccardo, condivido con te l’entusiasmo per il Festival (per me è stato davvero bellissimo, come sempre). Rispetto alle piccole Onp, sul piccolo o grande donatore potremmo parlarne, credo non sia proprio come dici tu….però non ho dubbi, si può e si deve parlare di fund raising! Non è importante quanto raccoglie una Onp, ma come e con che crescita annuale! Nella mia sessione dedicata ai “Casi” del FFR ho raccontato proprio come una Ong di medie dimensioni (250.000/300.000€ l’anno) possa crescere (passando ad una raccolta intorno ai 500.000/anno) in meno di tre anni, applicando, forse alla lettera ma all’estrema potenza, i metodi e gli strumenti raccontati da Alan, e non solo, con pochi investimenti, una vera passione, tanto impegno e professionalità.
Faccio fund raising dal 1997, ho lavorato e fatto consulenze per tantissime Onp, ma quasi sempre piccole o di media grandezza, forse attratta proprio dalla sfida che queste mi offrono nel mio lavoro. E secondo me hanno persino un valore aggiunto che dobbiamo smettere di sottovalutare! Se una Onp sconosciuta passa da 30.000€/anno a 150.000€/anno…. sarebbe interessante ascoltare come ha fatto! Quindi sono d’accordo, e anche disponbile a lavorare, per una sessione al Festival più dedicata alle piccole organizzazioni…mostriamo come si può fare, no??!
Carissima Anna, ho seguito la tua sessione e la ‘metodica magia’ che porta a crescere Fondazione Cesar è quella che anima quelle altre piccole onp che vediamo e conosciamo… facciamo un panel, magari prendendo un paio di settori a campione, e dal raccontare casi osiamo comporre un ‘ricettario’ del successo in queste piccole realtà? Quali sono gli ingredienti che funzionano, e di cui a un certo punto non dubitiamo più che siano dei veri fattori di crescita? Parliamone, anzi, mettiamoci a progettare!
Perfettamente d’accordo e grazie! Io per esempio, e così comincio subito a parlarne, come ho sottolineato anche nel mio “caso”, vedo due ingredienti che possono aiutare a crescere, che sono anche la vera forza di una organizzazione, soprattutto piccola: buona causa e trasparenza.
Per buona causa mi riferisco alla forza d’impatto che una causa riesce ad avere su un territorio, anche piccolo, e quanto sia possibile comunicarla quando a portarla avanti sono persone realmente coinvolte ed appassionate, capace di dare forza, profondità e valore alla “buona causa”, quale essa sia. Troppo spesso il limite di tante Onp in “cerca di fama”, è l’autoreferenza, non credi?
Per trasparenza, mostro sacro di tutti, grandi o piccoli, non intendo solo la rendicontazione o il bilancio…..intendo il rapporto aperto, sincero con il territorio, con i propri sostenitori.Una piccola Onp può essere molto sincera con chi la sostiene. Una piccolissima Ong che operava nel deserto dei Tuareg, composta da soli 3 soci appassionati, inviava una lettera con il resoconto bancario della Ong ai suoi sostenitori e un piccolo report con le voci di spesa e una volta l’anno organizzavano un aperitivo con tutti loro per far vedere foto, racconti e varie. Raccoglievano ogni anno 100.000€ solo così. Per esempio.
Che ne dici, già partendo da questi due ce n’è da lavorare?