Come ragiona un grande donatore?

Come ragiona un grande donatore?

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[ Con questo post riprendo una discussione che ho lanciato in Facebook. Qui riporto i commenti di vari fundraiser e consulenti già sul pezzo ]

Domanda generale: come ragionano i grandi e grandissimi donatori (italiani e non solo)?

In Italia possiamo parlare di grandi donatori? Certamente si.

Possiamo anche parlare di “filantropia strategica”? Forse no.

Alcuni spunti, indicazioni importanti e risposte le trovi qui sotto. Questo articolo è strutturato così:

  • la mia introduzione al tema
  • le risposte di esperti fundraiser e consulenti italiani (alcuni con esperienze forti con l’estero) a contatto con grandi e grandissimi donatori

Come sai bene, quando si parla di fundraising non amo i paroloni, perché purtroppo un po’ troppo spesso diventano etichette da attaccare sopra a corsi di formazione che costano quel che costano e aggiungono uno zero assoluto al “come si fa raccolta fondi”.

Sul tema dei grandi donatori, c’è un’etichetta che ormai è abbastanza di moda, cioè “filantropia strategica”. Quello che leggo o sento raccontare è una storia di questo tipo:

i grandi donatori si siedono al tavolo con i responsabili dell’organizzazione, che fornisce loro report dettagliatissimi e proiezioni su impatto sociale, piani di investimento e chi più ne ha più ne metta, e quindi, zeppi di informazioni analitiche decidono di sposare il tal progetto. O meglio, leggo o sento dire che questi grandi e grandissimi donatori decidono sulla base di questi elementi, eppure…

In questi anni ho visto in diretta svariati donatori fare grandi e grandissime donazioni, ed era evidente che il loro metro di giudizio del donatore era questo: mi piace / non mi piace + mi fido / non mi fido.

Ho visto cioè coi miei occhi grandissimi donatori seguire per tanto tempo progetti su cui han messo centinaia di migliaia di € che, più o meno, guardavano si e no le copertine dei report tanto curati dall’organizzazione, seguivano forse 1/10 di tutte le spiegazioni, capivano a volte il 50% dell’esposizione, e poi si commuovevano e rallegravano perché toccavano con mano quel che stavano sostenendo.

E’ importante conoscere le esperienze dei fundraiser italiani in materia, perché etichette come “investimento sociale” o “filantropia strategica” siano molto accattivanti (soprattutto per chi vende formazione..), ma molto poco rispondenti alla realtà di come decide un grande o grandissimo donatore.

A cascata, con molta serenità mi chiedo a che pro investire nelle organizzazioni giornate su giornate di lavoro per produrre documenti che, per carità, è importante avere sempre a disposizione, ma che (di nuovo su base dell’esperienza quotidiana) praticamente nessuno consulta: sto parlando dei bilanci sociali e assimilati.

Grazie mille ai colleghi che hanno contributo a questa discussione!

Risposta di Patrice Simmonet – FAI Fondo per l’Ambiente Italiano

Condivido, Riccardo. È ancora più evidente in modo eclatante questa mancanza in Italia, quando tratti con donatori esteri che loro si invece, pensano strategicamente: ti chiedono di dimostrare l’impatto sociale, pensano in termini di investimento a medio termine, e sono loro a spingerti ad avere un piano di fundraising per il progetto proposto. Vogliono fare la differenza a lungo termine. Mi è successo con un grande donatore tedesco e con una fondazione privata internazionale. Mi hanno aiutato alla fine a sviluppare progetti più completi e più strategici!

Risposta di Elena Zanella – Consulente

9 su 10 si comportano esattamente come dici tu. La maggior parte dei grandi donatori sono esattamente così. Poi c’è un’altra parte che, più che donare, investe. Non è detto che il fine sia un ritorno economico, ma certamente si aspettano di partecipare in qualche modo, traendone anche dei vantaggi (che a mio modo di vedere sono sacrosanti). Danno know how, relazioni, capitale ma si aspettano dei ritorni tangibili e vantaggiosi, e interlocutori capaci e credibili. Io nei miei percorsi ne ho conosciuti un paio. Uno, in particolare, rientra nella categoria dei business angel. E sì, esistono anche per il sociale. Ma sono persone a cui paradossalmente non devi chiedere. È una relazione diversa, fatta di numeri, opportunità, relazioni. Sono loro stessi a manifestarsi e a dettare i tempi.

Risposta di Massimo Coen Cagli – Scuola di Roma di Fundraising

Come nel caso dei piccoli donatori anche i grandi non sono un unico tipo. C’è chi ha un approccio razionale e chi invece meramente emozionale. Per cui… Se poi parliamo di “filantropia strategia” non è una riverniciatura della filantropia tout court. E’ una filantropia che è mossa da un approccio progettuale teso a produrre valore sociale, culturale, economico (in genere più di uno) verificabile, approccio progettuale che spesso è proprio del filantropo e non della organizzazione. Per cui al limite il filantropo strategico non finanzia una organizzazione ma mette in campo in proprio un progetto sociale, magari coinvolgendo organizzazioni. Insomma è un donatore molto ma molto attivo. Io ne ho trovati di uguale tipo (range 60-200.000 euro). Ma devo dire che alla lunga l’elemento razionale prende piede. Anche se, venendo meno l’elemento emozionale, crolla tutto.

Risposta di Chiara Blasi – Action Aid Italia

Due punti fondamentali: il primo è che i Grandi Donatori, come i piccoli, sono persone diverse e ciò che esalta alcuni di loro può lasciare assolutamente indifferente molti altri. Il secondo, e più importante, è che ha poco senso ragionare sulla contrapposizione fra razionalità ed emozione. Perché razionalità, emozione e anche relazione (fondamentale!) sono elementi che devono coesistere se vogliamo rafforzare il legame fra il Donatore e l’operato della nostra Organizzazione e raccogliere Grandi Donazioni.  Devono coesistere ed essere in equilibrio. Un equilibrio che varia caso per caso non solo perché ciascun Grande Donatore è una persona diversa ma anche e soprattutto perché diverso è il momento che lui sta vivendo con la nostra Organizzazione. Siamo all’inizio di una collaborazione? Stiamo parlando invece della decima grande donazione? Le priorità cambiano e cambia ciò di cui abbiamo bisogno e che può più facilmente portarci all’azione! Uno dei Grandi Donatori che ho intervistato quest anno per la Ricerca sull’Approccio alla Filantropia in Italia mi ha detto “Prima scelgo in base alla presenza sui media, poi la trasparenza mi convince del buon operato e alla fine il rapporto con le persone (non necessariamente i leader, ma anche solo chi lavora per la ONP) è ciò che mi fa restare vicino a una organizzazione.” Detto ciò è vero che l’approccio alla Filantropia dei Grandi Donatori italiani, mediamente, è ancora molto poco strategico. Purtroppo! Ma questo secondo me dipende anche (MOLTO) da noi Fundraiser…

Risposta di Alessio Fabbri – San Patrignano

In base alla mia esperienza quello che spinge un grande donatore a donare è: simpatia, legami parentali e rapporti amicali con altri grandi donatori dell’organizzazione o con persone/beneficiari dell’organizzazione, vicinanza con il problema affrontato dall’organizzazione, valutazione di importanza del problema affrontato dall’organizzazione sul territorio percepito come vicino dal grande donatore, visibilità e forza del brand, percezione di solidità e capacità da parte dell’organizzazione. Poi è chiaro che saper fornire documenti accurati di impatto e bilancio sociale sono rafforzativi. Concetti come filantropia strategica, misurazione dell’impatto sociale, investimento sociale, rendicontazione accurata del denaro donato, sono realmente operativi in Italia nel rapporto con fondazioni, banche, aziende e (un po’ meno) con gli enti pubblici erogativi. Più è piccola una banca o una fondazione e più si comporta in effetti da grande donatore italiano. Invece le grandi fondazioni stanno iniziando negli ultimi 2 anni a chiedere sempre più analisi accurate del contesto, misurazioni dell’impatto e dei risultati attesi con quadro logico, descrizione della proposta strategica di investimento sociale, etc. Per lo meno il loro sforzo sta andando in quella direzione e di conseguenza anche lo sforzo (non da poco) delle ONP.

Risposta di Dora Imberti – Gruppo Aleimar Onlus

Per quanto mi riguarda i grandi donatori dell’associazione per cui lavoro sono più coinvolti ed ispirati dalle testimonianze e dai resoconti dei volontari che dai numeri, i report o dal bilancio sociale. Sono la fiducia e la stima che hanno dell’associazione che spingono il grande donatore a sostenere un progetto e soprattutto a ripetere la donazione negli anni. É un rapporto impegnativo ma che ripaga!

Risposta di Marta Paola Zola – Fondazione Don Carlo Gnocchi Onlus

Assolutamente d’accordo. Il grande donatore che vedo io è là perché ha grande fiducia, come dici tu, e appunto per questo non legge mezzo report, ma ama le fotografie!

Risposta di Raffaele Piccilli – Consulente | Raise The Wind

Hai ragione, spesso chi scrive non ha idea di cosa sia la realtà..fa il critico culinario senza aver mai cucinato!

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