Le realtà ibride: un nuovo modo di generare impatto

Le realtà ibride: un nuovo modo di generare impatto

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Articolo scritto con The Good Social


Il 23 marzo 2023 si è tenuto il quarto appuntamento di #socialchangers durante il quale abbiamo indagato come alcune realtà, che appartengono al settore profit, si impegnino quotidianamente per avere un impatto positivo. Nello specifico, il focus dell’evento sono state le cosiddette realtà ibride, quali Società Benefit, B Corp e Start-up a Vocazione Sociale.

Ne abbiamo parlato in compagnia di Giorgio Jaupi (ZeroCo2), Riccardo Valobra (Cents) e Giorgio Giorgi (Glocal Impact Network) che, guidati da Marta Etrelli e Isabella Lalli, ci hanno condotti tra riflessioni, confronti e approfondimenti.

Per snocciolare l’argomento, non potevamo non iniziare dando qualche dato di contesto. In Italia, le aziende certificate B Corp sono più di 200, le Società Benefit circa 2200 e le start-up a vocazione sociale quasi 500. I numeri parlano chiaro: si tratta di un mondo ancora ridotto e poco conosciuto.

“Entrare a far parte di questo mondo, racconta Riccardo Valobra, è stato un modo per posizionarsi come un’azienda che può fare innovazione anche avendo un impatto e quindi riuscire a raccontare la storia di una realtà giovane che riesce a contribuire ad un futuro migliore per tutti.”

Questo concetto di posizionamento, riconoscimento e affermazione di un’identità si ritrova anche nelle parole di Giorgio Jaupi, che afferma che diventare B Corp significa entrare a far parte di un ecosistema composto da aziende consapevoli e attente al proprio impatto. Inoltre consente di farsi facilmente identificare anche dalle persone che non conoscono l’azienda in quanto essere associati alla B corporation permette agli stakeholders di avere subito un’idea chiara dei processi aziendali, dei valori e della mission

Dall’altra parte, però, Giorgio Giorgi ci ricorda anche che, prima di affermarsi attraverso una certificazione che, sicuramente, ad un certo punto diventa utile se non addirittura necessaria, il primo passo è saper progettare e rendersi conto del proprio impatto. Un impatto che, come sottolinea sempre Giorgio Giorgi, sia il settore profit che il settore non profit hanno nella vita quotidiana. Per questo è quindi importante che le imprese diventino sempre più consapevoli della loro attività lavorando per migliorarla il più possibile affinché, a tendere, la distinzione tra profit e non profit possa diventare sempre più labile. Ed è proprio in questo senso che le realtà ibride si impegnano col loro operato. 

Risulta però importante chiedersi come queste realtà, appartenenti in tutto e per tutto al settore profit, siano percepite all’esterno.

Come ci dice Riccardo Valobra, per esempio, c’è una grossa differenza tra come vengono percepite le aziende che aiutano il Terzo Settore in Italia e come vengono percepite nel resto del mondo

“Spesso si fa difficoltà ad apprezzare il valore portato da una realtà innovativa for profit. E – a volte – viene quasi demonizzata, viene quasi vista come qualcosa che va a togliere risorse in qualche modo al terzo settore anziché aumentarle e amplificarle. Cambiare questa percezione è sicuramente una sfida già in atto ma su cui c’è ancora molto lavoro da fare.”

Queste realtà sono dei connettori, dei ponti tra questi due mondi. Sono aziende che hanno obiettivi precisi come ci ricorda Giorgio Jaupi:

“Crediamo che essere società benefit significhi adottare un modello di business basato sulla creazione di valore, non solo economico. Creare valore per tutti coloro che sono coinvolti nel nostro lavoro. È ciò che facciamo ogni giorno. Per questo motivo, l’impatto sociale e l’impatto ambientale sono altrettanto importanti quanto quello economico. Siamo convinti che solo un bilanciamento corretto di queste tre componenti possa portare a un futuro sostenibile per tutti.

Nel definire se stesse, un punto che emerge è la differenza tra queste realtà “ibride” e la Responsabilità Sociale d’Impresa. Come afferma Giorgio Giorgi, infatti, fare CSR e progettare o co-progettare insieme alle realtà sono due cose diverse.

“Fare CSR può essere un mezzo come un altro per avere dell’impatto ma si tratta di un impatto un po’ limitato perché non riesce ad essere sistemico. […] Inoltre spesso la CSR è data in mano ad agenzie di comunicazione o marketing e diventa pericoloso se queste azioni di CSR vengono fatte solo per rispondere a dei trend, anche corretti, perché poi i trend sono figli di ciò che chiede la società civile. ” 

Riccardo Valobra, nel raccontare la propria realtà, aggiunge:

“Quello che facciamo rispetto a chi fa consulenza, o disegna progetti di CSR, è che diamo uno strumento a chi vende online o a chi gestisce transazioni per ingaggiare la propria base clienti e raccontare l’impatto che il loro acquisto contribuisce a generare. La nostra idea è dare credibilità al progetto che l’azienda porta avanti […] creando proprio una connessione tra il progetto che viene sostenuto e l’acquisto.”

Nonostante ciò, come ci dice Giorgio Giorgi, riprendendo la citazione sopra di Riccardo Valobra, a volte i tentativi di contatto vengono osteggiati e c’è ancora diffidenza nel collaborare. Spesso c’è ancora l’idea nelle organizzazioni non profit, che investire dei soldi per innovarsi, in particolare se questo implica chiedere un aiuto al profit,  porti via dei fondi alla generazione di impatto, quando  invece c’è bisogno di rinnovamento, strutturazione e competenze tecniche.

Viene spontaneo proseguire l’incontro parlando di professionalità e di competenze, in particolare nel Terzo settore. Da una parte, infatti, il Terzo settore ha sempre più la necessità di acquisire professionalità competenti e preparate da retribuire. Infatti, si parla di un un terzo settore che, nonostante l’assenza di scopo di lucro e la missione che porta avanti a favore del beneficio comune, non può non comportarsi come un player di mercato e non trovare nuovi modi per innovarsi e stare al passo con i tempi. 

Dall’altra parte, però, come ci dice Riccardo Valobra, spesso […] il donatore non coglie l’importanza dell’avere persone competenti e professionalizzate all’interno delle organizzazioni non profit. Infatti è bene ricordare che è presente ancora una diffidenza culturale da parte dei donatori derivante da una credenza diffusa che fa pensare che il Terzo Settore sia composto da volontari, una diffidenza che può ostacolare l’introduzione e il riconoscimento di professionalità e competenze, perché andrebbe a minare il preconcetto che l’intero ammontare delle donazioni è usato per generare impatto.  E questo può operare da deterrente all’interno delle organizzazioni, soprattutto le più piccole.

Ancora una volta, si tratta di una percezione che è importante scardinare per andare incontro a un cambiamento radicale. E forse, proprio i giovani possono contribuire affinché questo cambiamento veda la luce il prima possibile.

In chiusura dell’incontro, abbiamo voluto approfondire proprio questo aspetto insieme ai nostri relatori: cosa significa essere giovani e imprenditori?

Da un lato, come ci racconta Riccardo Valobra, essere giovani porta con sé un po’ di spensieratezza, meno responsabilità, tanta voglia di fare, tante idee. Dall’altro lato, significa iniziare avendo alle spalle poca esperienza. Anche Giorgio Giorgi ci racconta che essere imprenditori giovani in Italia, nel 2023, è un tema importante- La gioventù ti dà energie, ti permette di rincorrere i tuoi obiettivi, i tuoi sogni, ma […] quando si parla di cambiamenti, di rivoluzione, di cambiare i modi di fare impresa, di avere impatto, si sente ancora un po’ di resistenza. Una resistenza culturale che noi giovani dobbiamo scardinare.


Jessica Ambrosino & Sara Ferro – Ideatori e organizzatori di #Socialchangers

Instagram the Good Social

Isabella Lalli – Ideatrice e organizzatrice di #Socialchangers

isabella.lalli@officinebuonecause.it

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