Questo post é il primo contributo a FundraisingKmZero di un altro fundraiser: Alessandro Albergamo è un amico e uno che promettente (molto) bene nella professione! Gli ho chiesto di partecipare parlando del programma di donazioni da busta paga che sta pianificando nell’onp in cui lavora …et voilà!
Ringrazio di cuore Alessandro e ti lascio al suo interessantissimo articolo sul payroll giving!
PS: di prossima pubblicazione il modello del contratto usato da Alessandro, come leggerai di seguito!
Stai cercando entrate sicure, fisse e regolari per garantire sostenibilità alla tua mission? Pensi che per lavorare meglio e con una vision più stabile bisognerebbe fare affidamento su introiti costanti?
Antefatto: ero al Festival del Fund Raising a Castrocaro Terme come studente del Master in Fundraising, e mi sono trovato a partecipare alla sessione tenuta dallo staff di Unora Onlus che parlava proprio di payroll giving. Arca di Noè, la cooperativa sociale in cui lavoro, é dedita all’inserimento lavorativo di fasce deboli e svantaggiate, quindi in contatto con alcune aziende per lavoro in conto terzi. Mi sono detto: perché non rendere le imprese per cui lavoriamo il più partecipi possibili alla nostra mission? Certo, le commissioni di lavori e lavoretti sono il nostro pane quotidiano, ma i dipendenti e i managment di queste aziende sanno esattamente chi è Arca di Noè, cosa facciamo, come ci spendiamo per il bene dei nostri ragazzi?
Il payroll giving è lo strumento di fund raising che fa al caso tuo! Il payroll giving è la “donazione tramite busta paga”: il lavoratore può liberamente scegliere che, ogni mese, un’ora o più della sua retribuzione netta venga elargita come donazione (deducibile o detraibile) ad una organizzazione non profit.
È una pratica di donazione “facile”, attiva da anni nei paesi anglosassoni, con regole precise che tutelano il donatore e anche l’onp. Una sinergia fra l’universo profit e quello non profit con vantaggi per l’impresa (come costi di gestioni minimi e un ottimo ritorno di immagine, interna ed esterna) e vantaggi per il lavoratore (senza muoversi dall’ufficio compie una buona azione e può decidere in ogni momento di recedere). Il lavoratore interessato non deve far altro che compilare un modulo di adesione, scegliere quante ore del suo stipendio desidera donare e consegnare il foglio all’ufficio del personale che, in collaborazione con la onp, provvederà a gestire trattenute e rendicontazioni.
Ho subito cercato di cogliere al volo un’opportunità che, secondo me, poteva essere adatta alla nostra realtà, uno strumento di fundraising in linea con le nostre necessità e le nostre caratteristiche. Il payroll giving, se ben gestito, ti consente di:
- poter contare su entrate fisse e regolari
- di conseguenza, pianificare meglio le tue attività
- farti conoscere all’interno dell’azienda e della famiglia di chi in azienda lavora
- fidelizzare il donatore
- creare rapporti stabili con le aziende
- offrire al donatore la possibilità di donare in maniera facile, veloce, modesta ma costante
La prima cosa è stata interpellare un nostro amico avvocato: la base giuridico-legale del payroll giving sono due risoluzioni dell’Agenzia delle Entrate, la n.441/E del 2008 e la n.160/E del 2009. Abbiamo così preparato un contratto che, giuridicamente, è una cessione di credito in cui l’impresa si impegna (a titolo rigorosamente gratuito) a cedere ad Arca di Noè ogni credito che questa avanza verso ogni singolo dipendente (quelli che, appunto, hanno deciso di aderire)!
La cosa sembra complicata ma non lo è: la sintonia di lavoro tra i managment dell’impresa e dell’organizzazione non profit e le rispettive amministrazioni, diminuisce i carichi di lavoro e rende trasparenti tutte le operazione da svolgere!
Per quanto riguarda l’attività del fundraiser, cosa assolutamente fondamentale è la pianificazione dello strumento, in particolare:
- qual è il caso? Cioè, perché chiedo a un dipendente di una azienda di donarmi un’ora dalla sua busta paga? Non posso proporre la Cooperativa come buona causa, sarebbe troppo debole, bisogna pensare a un caso specifico (un laboratorio artigianale che ha bisogno di macchinari; una casa per vacanze che è sprovvista dei bagni per persone disabili…), soprattutto bisogna prevedere momenti di verifica, rendicontazione, bisogna far sentire il donatore importante e indispensabile!
- serve un evento di lancio, qualcosa in grande (tipo una cena aziendale animata e programmata da noi) che porti il nostro caso e la nostra cooperativa agli occhi dei dipendenti, dei dirigenti, di tutti insomma! Non possiamo entrare in un’azienda e chiedere donazioni senza farci vedere in prima persona, senza farci conoscere né “dire dove vanno a finire i soldi”!
Per quanto riguarda noi, sarebbe bello che Arca di Noè divenisse la “Buona Causa di Tutta l’Impresa”: le imprese, per confermare e sostenere a loro volta l’adesione del dipendente, possono decidere di fare “match giving“, cioè di raddoppiare il valore totale delle donazioni raccolte dai propri dipendenti col payroll giving. In quest’ultimo caso l’azienda fruirà dei vantaggi fiscali previsti dalla normativa sulle donazioni.
Pensi che il payroll giving sia uno strumento adatto alla tua onp? Hai già fatto esperienza con questo strumento? Conosci casi locali di successo?
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[note] Alessandro Albergamo nasce a Bologna nel 1986. Dopo la maturità al liceo classico Minghetti, nel marzo 2009 si laurea in Scienze Politiche, corso in Sviluppo e Cooperazione Internazionale. Dopo la laurea si diploma al master di Forlì in Fundraising per il nonprofit. Dal febbraio del 2009 lavora nella cooperativa sociale Arca di Noè, sia come operatore nel progetto di seconda accoglienza Casa Rivani, sia come fundraiser.[/note]
Grazie Alessandro e grazie Riccardo: ottimo l'articolo e ottimo il blog. Noi vorremmo iniziare con alcune aziende: Appena sperimentiamo farò un commento sul risultato.
Un abbraccio grande e buona raccolta!!!!
Bene, un'altra iniziativa di cui parlare! Il vostro staff sembra bello preparato, avrete di che divertirvi! Grazie di essere passato di qui e del tuo commento!
Complimenti Alessandro, ottimo articolo, proporrò anche all'AIL di fare payroll giving! Grazie
Fantastico! AIL parte con un nome che può essere un'ottima base di partenza per avviare un'operazione di questo tipo… non scordare di farci sapere come imposterete il piano e poi come andrà! Grazie Alessandra!
Ciao a tutti. Volevo segnalare il successo di questo tipo d'iniziativa nella mia azienda. L'occasione fu un po' particolare in quanto ci fu un evento di lancio, o meglio l'evento di lancio fu il terremoto che colpì l'Abruzzo. La Direzione ci propose di donare un'ora del ns lavoro ad un'associazione de L'Aquila e la cosa ebbe alto riscontro in azienda infatti circa l'80% del personale vi aderì. Vi vorrei segnare inoltre questo sito http://www.creativeswarm.org/Default.aspx, credo sia il futuro anche per quanto riguarda il no-profit.
ciao a tutti e buon w.e.
Ciao Fabio! Col tuo commento dai prova che il payroll giving é una forma di donazione gradita dalle aziende e dai loro dipendenti, anche in una realtà come quella in cui lavori (deciderai tu se rivelare qual è, con un altro commento! 😉 ). Praticamente al dipendente basta esperimersi con un "si" o un "no" e lo spirito di squadra che viene a generarsi é un grande valore aggiunto.
Ottima la tua segnalazione sul crowd funding. Penso che l'interessante del CF stia nel dare una nuova prospettiva ai movimenti di società civile che sempre più fanno sentire la propria voce: il CF mette al centro il progetto e la paternità di ognuno nel suo sviluppo, facendo una sorta di azione di "advocacy" per tutto ciò che (nel campo sociale ma anche commeciale) rischierebbe di rimanere nel cassetto perché i finanziatori tradizionali non lo ritengono appettibile (o almeno non da subito!). Questo bellissimo articolo la dice lunga su quanto (ad esempio in Italia…) ci sia bisogno di fonti di finanziamento alternative: http://bit.ly/c9u1zO
Chiudendo, guardando l'idea alla base, tra fundraising e CF c'è quasi identità, non fosse che il meccanismo del CF a un certo punto schizza in direzione opposta: se non si raggiunge la cifra necessaria entro un certo termine, tutte le donazioni tornano ai sostenitori del progetto! Credo che questo sia praticamente inapplicabile al fundraising, anche se meccanismi di controllo simili potrebbero essere incentivanti ad organizzare il proprio sistema di raccolta fondi (es: "meccanismo della sfida" usato dalle fondazioni bancarie verso le fondazioni di comunità figlie: raddoppio quel che tu raccogli sul territorio).
Grazie mille del commento e della segnalazione!
Complimenti a te e ad Alessandro Albergamo, ottimo approfondimento sul payroll giving, purtroppo uno strumento che in Italia sta decollando a fatica, anche se qualcosa comincia a muoversi.
Quando si parla di aziende la mia attenzione si focalizza spesso sulle conseguenze sull'immagine dell'onp derivanti dalla relazione organizzazione/azienda, specialmente se quest'ultima adotta comportamenti poco trasparenti o socialmente scorretti. Nel caso in cui sia l'organizzazione a contattare una realtà for-profit, tale problema non dovrebbe sorgere. Ma poniamo il caso inverso: se un'azienda socialmente poco responsabile o antagonista alla buona causa (ovviamente non si possono fare nomi ma penso che tutti abbiamo dei casi in mente) decidesse di contattare l'organizzazione per aderire al progetto e proponesse ai suoi dipendenti questa forma di raccolta fondi, l'organizzazione come dovrebbe comportarsi? Ovviamente si potrebbe pensare che i soldi arrivano dai dipendenti e non dall'attività dell'azienda, quindi in qualche modo sono "puliti". Certamente è così, ma comunque immagino che l'impresa pretenderebbe ugualmente un ritorno di immagine, soprattutto se decidesse di attivare contestualmente lo strumento del match giving. Greenpeace, ad esempio, ha una policy molto chiara e precisa sui suoi donatori. Ma una piccola organizzazione, per cui qualsiasi entrata è indispensabile, cosa dovrà fare? Tu cosa ne pensi?
Ps: una piccola nota tecnica: i link alle due direttive dell'Agenzia delle Entrate, almeno sul mio computer, non funzionano.
Ciao Davide, é un piacere leggerti fra i commenti di questo blog (per tutti i fundraiser e non: visitate il blog di Davide http://fundraisingmix.blogspot.com !).
Grazie per aver segnalato i broken link, sistemati! Per fortuna che c'è chi vigila! 😉
Quanto al tema che lanci, in linea generale credo che per le piccole organizzazioni il rischio di venire usati come "lavatrice" delle malefatte di qualche impresa non sia rilevante. Lo dico per questi motivi:
– sul versante del marketing, l'impresa dovrebbe cercare un ritorno di immagine forte. Le piccole onp spesso non son capaci nemmeno di comunicare se stesse all'esterno e il "brand" spesso non c'è, al massimo si può parlare di …logo! Non basta insomma che sia l'impresa a dire "ehi clienti, ehi comunità, visto che bravi? Sosteniamo l'associazione XYZ", deve essere assieme l'onp a farsi portatrice della comunicazione presso i propri stakeholders.
Ripeto che, per quanto vedo io, fra le piccole onp questa capacità non c'è, o quantomeno non in misura tale da generare un ritorno d'immagine apprezzabile. Quindi mi pare che le piccole onp non siano un target appetibile per eventuali "imprese canaglia".
– sul versante etico il discorso é molto molto complesso.
Penso che da una parte ogni onp debba dotarsi di una policy minima sul tema, o almeno rimandare al consiglio direttivo la decisione di volta in volta, senza lasciare carta bianca a chi si trova poi a gestire queste relazioni. D'altra parte nelle piccole organizzazioni sistemi di controllo più evoluti del seguire il buon senso nel 99% dei casi sono assenti.
Oltretutto, senza andare tanto in là con gli esempi, viene anche da chiedersi: é ragionevole chiedere a una piccola organizzazione, mettiamo una Pro Loco paesana, di organizzarsi in modo da controllare se tutti i propri sponsor sono a posto col fisco? Teoricamente si, praticamente non mi pare fattibile. Ma possono esserci soldi "sporchi" anche lì. Bel dilemma.
Hai aperto una discussione davvero complicata! 🙂
Vediamo di parlarne con più ordine in qualche post futuro…
Grazie Riccardo per la segnalazione. Effettivamente quello che dici è più o meno quello che penso anch'io sul tema.
Per quanto riguarda la potenza del brand di una organizzazione non lo so se si può considerare che il fatto di essere piccoli renda il tutto meno rilevante. Ad esempio se l'organizzazione è legata ad una realtà territoriale molto ristretta ma sulla quale ha un forte impatto e l'azienda, anch'essa di piccole dimensioni, ha interesse a consolidare la propria immagine sulla propria comunità di riferimento, forse le dinamiche e gli interessi in gioco valgono come nel grande (o forse di più). Ovviamente il rischio di incappare in aziende "canaglia", come le chiami tu, è nettamente inferiore e sicuramente con poste in palio nettamente inferiori.
Spesso sui social network ho proposto temi legati ai dilemmi etici nella raccolta fondi. Sono molto contento di poterli condividere con tutti in una futura discussione!
Condivido quel che dici sulla 'potenza' delle piccole onp nel proprio territorio (altrimenti che aprivo 'sto blog a fare? 😉 ) peró se parliamo di imprese che vogliono riparare alle proprie malefatte come proponevi nel tuo commento, credo che la tipica piccola organizzazione non sia interessante, neppure per la piccola impresa locale, per i motivi che dicevo sopra.
Invece sono pienamente d'accordo sulla forza delle partnership tra piccole onp e piccole imprese, partendo da una situazione quanto piú pulita e limpida. Qui di casi se ne possono fare a bizzeffe! Basti pensare a quante imprese locali investono ripetutamente ad esempio nelle associazioni sportive amatoriali per il piacere di patrocinare sport tra i giovani, o a quante sostengono anche da decenni eventi paesani. Magari non é granché sofisticata, ma si tratta pur sempre di filantropia d'impresa e a volte di vera csr!
Lancio l'invito pubblico a discutere su questo tema proponendo qualche caso reale di piccola onp e imprese locali a fundraisingkmzero.it !