Fra il 22 luglio e l’11 settembre di quest’anno, 393 persone hanno risposto all’indagine Assif sulla figura del fundraiser.
Come certi hanno fatto notare, il campione é numericamente significativo ma statisticamente non rappresentativo. E’ però senz’altro una buona base di partenza per interpretare (finalmente!) la figura del fundraiser nel panorama italiano. E alla “nuova Assif” va tutto il merito di questo.
Nei blog, newsfeed a pure nei titoli di alcune testate online (vd. Redattore Sociale) si evidenzia che i fundraiser sono per la maggioranza donne e che risiedono e lavorano nel nord Italia. Di tanti dati, sotto la lente “km zero”, mi pare altrettanto importante dare evidenza a questi particolari:
- il 34% dei fundraiser ha tra i 26 e i 35 anni (dove la maggioranza relativa del 45% é nella fascia 35-60). Che è un bel po’ di giovani attivi nella raccolta fondi.
- Questione: quanti di loro un giorno rimpingueranno la fascia 35-60 anni?
- Tema: retribuzioni.
- il 20% dei fundraiser fa il/la consulente. E’ un’enormità!
- Questione: Dove siete? Come vi state promuovendo? Con chi state lavorando? Perché é così difficile rintracciarvi?
- Tema: networking, riconoscibilità della professione.
- il 20% dei fundraiser lo fa da volontario. Interessantissimo.
- Questione: che competenze ci si aspetta da un fundraiser? Stiamo parlando del socio di un’associazione, di un manager in pensione, di un esperto marketing distaccato per qualche programma di CSR… ?
- Tema: definizione dei “tratti” del fundraiser.
- aspettative da Assif. Certe opzioni prevalgono su altre, ma…
- Questione: …quando la meno votata prende il 65% delle preferenze, significa che c’è una fame profonda di tutto!
- Tema: importanza dei nodi di rete territoriali, individuare e attivare leader.
Oggetto di indagine che oggi leggendo tutto mi sembra mancare (mannaggia a me che non ci ho pensato prima):
“Fai solo il fundraiser o fai il fundraiser + altre 2,5,10,1000 cose?”.
Ne ho già parlato in questo post raccontando la mia esperienza quotidiana. E tuttavia mi ritengo fundraiser a tutti gli effetti. Poi penso al Veneto che conosco, alle alte percentuali di residenza e attività nel nord Italia, ai tanti operatori e operatrici del piccolo e medio non profit incontrati in questi anni: molti fanno tutto, da preparare la cena per gli ospiti di una comunità di accoglienza a raccogliere 200.000€ da una fondazione bancaria.
Siamo in un paese di 393 fundraiser o di migliaia e migliaia di fundraiser smezzati?
Il titolo originale del post era “Il fundraiser dimezzato”, ma l’immenso Calvino intendeva un visconte tagliato sulla linea che separa il bene e il male… “smezzato” ci riporta (mi riporta?) alla (brutta!) abitudine di certi ristoratori di allungare il vino buono con l’acqua e fargli perdere così la sua saporita concentrazione. Un po’ come capita a chi fa il fundraising km zero con le mille incombenze quotidiane 🙂 |
PS: ti segnalo anche le opinioni di Massimo Coen Cagli e Virginia Tarozzi, due delle voci di punta tra i fundraiser italiani (o almeno, tra quelli visibili :D). Scherzi a parte, sono riflessioni davvero importanti e preziose di professionisti completi e costantemente sul pezzo. Leggile e commentale!
Carissimo,
Da giovane socio Assif ho letto anch'io con attenzione i dati della ricerca e concordo con te sui punti evidenziati nel tuo post.
Tra le altre cose, ti scrivo da un convegno la cui prolusione è stata affidata a Melandri che ha lanciato interessanti provocazioni (non dovrei farlo ma la tavola rotonda non è proprio interessantissima!).
Lavoro principalmente nella Provincia di Milano e sono uno dei tanti consulenti che sembrano non vedersi. Credo che il principale problema sia ancora quello culturale. Mi spiego. Qundo si parla di raccolta fondi tutte le ONP spalancano occhi e orecchi, magari qualcuna tenta l'investimento per costruire una funzione interna per poi "schiantarsi" sulla cultura d'impresa che serve a rendere efficacie ed efficiente il FR. Inizi un lavoro e poi a metà strada lo molli perchè il budget è ancora un gramde mostro aniba da cui fuggire e, soprattutto, perchè Pianificazione strategica e investimamti di pensiero sulla promozione della causa sono come bestemmie profit che "non ci devono contagiare".
Infine sulla questione del fundraiser volontario: ho incontrato un sacco di gente senza il becco di una competenza dirsi tale. Sono spesso i dipendenti scadenti, o quelli che compilamo formulari di qualche bando a definirsi fundraiser, persone a cui però interessa solo il risultato di raccolta secco, economico, e non si immagina minimamente il grande capitale che il FR può assicurare alla causa. Grazie e al prossimo post!
Ciao Fabiano, grazie mille per il tuo contributo, che é davvero significativo. Porti questioni importanti, non solo sul "chi é fundraiser", ma anche di quanto ci sia da lavorare perché ci siano le CONDIZIONI CULTURALI (termine che tutti dobbiamo tenere a cuore!) perché il fundraising sia qualcosa di diffuso in Italia. C'è da lavorare sulle definizioni (e non prendendo il mondo anglosassone in blocco, perché in Italia ci sono grosse differenze sulle dinamiche e opportunità di finanziamento!) e c'è da lavorare sul contesto generale. Diamoci da fare! Buon convegno e a presto!
Grazie Riccardo per i complimenti – davvero troppo buono. E grazie per la bella analisi, e per un titolo azzeccatissimo!
Grazie a te Virginia! Sai che seguivo il tuo blog già diversi anni fa, quando fundraising e blogging in Italia erano sicuramente un fenomeno sottosviluppato? Insomma, fundraisingkmzero ha ispirazioni radicate ben lontano nel tempo! E chissà che ci si incontri prima o poi! Un salutone a buon tutto!