Un post “fuori onda”… da qualche giorno ho aperto una discussione nervosetta con un altro blogger. Anzi, mi ha fatto venire anche un bel po’ di acidità, perché tira fuori una serie di congetture e miscredenze diffuse. La domanda che mi faccio e che ti faccio é: di chi è al responsabilità per questi luoghi comuni sul fundraising e sul non profit in generale? La responsabilità é dei fundraiser, consulenti e operatori del terzo settore o dell’ “uomo della strada”?
E’ cominciato tutto sul blog di Valerio Melandri, ora si è spostato su gradiniemappe.wordpress.com. Per ricostruire la vicenda:
- leggi la mail che ho inviato a Valerio e che lui ha ripubblicato sul suo blog
- dai un’occhiata ai commenti al post di cui sopra (ovviamente, li trovi in fondo al post stesso)
- leggi il seguito della discussione nei commenti al post “O fai profit o fai non profit” su gradiniemappe.wordpress.com
Fatto, questo, ti chiedo un favore piccolo ma importante: lascia un commento. Credo sia importante parlare di questo tema: se non lo facciamo sugli spazi di confronto dedicati, dove vale la pena di farlo? O almeno, cominciamo da qui! Lascia un commento e condividi quel che pensi. Tra gli iscritti alla newsletter di FundraisingKmZero ci sono volontari e professionisti del fundraising, curiosi, operatori del terzo settore e anche del profit, iscritti ad Assif ed allergici ad Assif… fatevi avanti! Grazie!
Riccardo, ho letto le tue risposte qui http://gradiniemappe.wordpress.com/2011/07/28/o-f…
Mi sembrano valide e più che esaurienti. Di fronte a critiche lanciate nel vuoto senza contenuti è sempre difficile rispondere "mantenendo la calma"
Ciao Fabrizio, grazie della risposta! E grazie anche di aver segnalato il link corretto, una svista dovuta alla fretta!
Una risposta impeccabile. Mi sembra il modo giusto per rispondere a delle obiezioni che comunque esistono e con le quali bisogna fare i conti.
Franceso Barnaba ha avuto cmq "il coraggio" di sostenere le sue convinzioni e ci regala un'opportunità di sgombrare dubbi sul lavoro di molti professionisti seri e motivati anche se sottopagati.
Sicuramente nel mondo del nonprofit (come in tutti gli atri settori) esistono situazioni meno onorevoli ed altre fortemente discutibili, a chi lavora seriamente l'onere e l'onore di offrirsi come testimoni dell'altra parte di un mondo che funziona.
Francesco è anche vittima di quel modo di pensare che porta a considerare il terzo settore uno spazio dove devono operare solo i volontari. Anche questa a mio parere è un'idea da correggere.
Infine meriterebbe una riflessione la condizione di giovani che come Riccardo devono sperare di avere un futuro professionale e personale con 900 euro al mese!!!!! e nn voglio pensare che chi lavora in questo settore non meriti lo stesso riconoscimento degli altri lavoratori. Forse però questo è da discutere in un'altro post o forse in un altro blog.
salute e saluti a tutte e tutti
Giuliano
Grazie Giuliano per questo tuo bel commento. Le obiezioni esistono e la replica, anche quando sono così "feroci", diventa un dovere più che un diritto… la responsabilità di informare correttamente é dalla parte di chi opera (e comunque esiste anche quella di informarsi correttamente, dato che i mezzi per farlo certo non mancano!).
Le altre due questioni che sollevi, cioè volontariato/lavoro e retribuzioni sono importantissime e di sicuro vanno affrontate. Come dici tu, un altro post sarà il luogo più adatto!
Un saluto e grazie davvero del tuo tempo!
Caro Riccardo, ho risposto a Barnaba in maniera molto irritata: "di fronte all'idiozia anche gli Dei sono impotenti". Personalmente spero di non collocarmi nella prima categoria con la consapevole certezza di essere lontanissimo dalla seconda. E tuttavia, pensando ai meccanismi mentali che governano la nostra simpatica e accogliente civiltà, non posso non essere preoccupato per l'arrogante ignoranza e irrispettosa dialettica di certa numerosa (?) gente. Forse è proprio nella prospettiva indicata da Valerio Melandri la possibilità di una svolta, rendere "praticabile" la normalità del bene spogliandoci dall'aura di anime belle che avvolge, ogni tanto, il terzo settore rendendolo necessariamente residuale. Lavorare per una buona causa non è una attività da unti dal Signore: richiede professionalità, preparazione, dedizione, costanza, impegno, tempo oltre a dei precisi valori etici e morali. Essere "agenti del cambiamento" come diceva Bill Toliver è possibile solo a partire dalla praticabilità – appunto – di questo impegno (a meno di non chiamarsi Gesù Cristo, ovvio)e quindi dalla sua riconoscibilità sociale. Viviamo del "profitto" prodotto dai nostri donatori ma è utile chiarire che, personalmente, non ho niente in contrario a chi fa profitto in maniera trasparente e onesta. Terreno sdrucciolo? Può darsi. Ma se si considerasse normale lavorare per il bene comune, probabilmente anche i commenti sciocchi di un Barnaba qualsiasi sarebbero solo il rutto acido di una minoranza.