DOMANDA
Sono volontaria di una piccolissima cooperativa sociale che si occupa di commercio equosolidale. E’ una bottega nel centro della città che vende prodotti dagli alimentari, all’abbigliamento, ai monili, a oggetti e tessuti per la casa, alle bomboniere. Un solo dipendente a part-time. Ci sono tanti problemi. Quello che è sembrato più evidente è che la gran parte dei 220 soci non fa acquisti regolari in bottega. Ho proposto di riavvicinare i soci con una campagna e-mail e/o lettera con la quale chiediamo loro di raccontarci cosa vorrebbero trovare in bottega, a quali articoli sono maggiormente interessati e con quale mezzo vorrebbero essere ricontattati in futuro, se sono interessati a proposte di acquisto particolari presso determinati produttori, ricordando loro la mission del commercio equo solidale e che in quanto soci possono godere di uno sconto del 10% se raggiungono un certo ammontare di spesa. Come inizio di contatto e di customer care può bastare? Cosa ci suggerisci?
– Luisa –
RISPOSTA
Carissima Luisa,
ti avventuri in terre oltre i confini della raccolta fondi!
Ma la tua domanda è molto molto interessante per tutti quelli che si danno da fare in piccole organizzazioni non profit, per più motivi:
- quando si lavora o si fa i volontari in piccole organizzazioni dedite alla raccolta fondi, è abbastanza normale trovarsi faccia a faccia con degli avventori (esempio tipico: il banchetto con l’oggettistica a “offerta libera minima consigliata” 🙂 )
- anche se fiscalmente non sono rilevanti, per concessione di legge, diverse volte nell’anno ci troviamo di fatto a fare vendita / a fare i venditori (di nuovo: il banchetto in piazza! Ma anche tutte le “non-vendite” di frutta, fiori e verdura varia… e poi i posti per l’evento di beneficenza, le bomboniere etc etc)
- la Riforma del Terzo Settore una volta operativa, aprirà le organizzazioni non profit a una certa, inedita, libertà nell’attività di vendita (stanti limiti da chiarire e una giusta tassazione forfettaria per questi incassi di natura commerciale). Per cui, un po’ tutti avremo l’opportunità di diventare più venditori di prima 😉
- l’atteggiamento e i passaggi che riguardano la cura del cliente, sono i medesimi che valgono per la cura del donatore. Da questo punto di vista possiamo considerare i donatori dei clienti davvero speciali: pensa che “comprano” la causa sulla fiducia, accettando che le cose possano andare male!
E quindi, vale proprio la pena confrontarci un po’ su come state impostando il vostro customer care lì in bottega!
Parto da una considerazione generale: le botteghe del commercio equo per certe linee di prodotti sono passate dall’essere una distribuzione “di nicchia” a uno dei tanti luoghi in cui puoi trovare prodotti scelti per parole chiave (bio, equosolidale, sostenibile, vegan). La grande distribuzione organizzata è il concorrente numero uno delle botteghe: ormai è attrezzatissima in materia, proprio perché da “scelta di nicchia”, comprare prodotti “responsabili” è diventata un’abitudine diffusa (se non una moda, diciamocelo!). Non sto a discutere della qualità dei prodotti della grande distribuzione o di quanto siano sane (o inquinate) in certi casi le sue politiche commerciali: meglio prendere atto di questa realtà e confrontarsi con essa!
E quindi, veniamo ai 220 soci che non fanno più acquisti regolari in bottega: dove vanno a fare i loro acquisti? Fissiamoci in testa questa parola: concorrenza.
Penso di non sbagliare molto dicendo che la categoria di prodotti più critica per tenere agganciati i vostri soci, è quella degli alimentari: qui sappiamo già che la grande distribuzione la fa da padrona quanto a forza, quindi tra offerte e varietà, è molto facile che attiri anche i vostri soci. Occhio anche che è proprio questa categoria che, in media, aumenta la frequenza delle visite al negozio (insomma: uno mangia più di frequente di quanto non si compri un vestito nuovo… giusto?). E quindi, se i soci della cooperativa possono trovare in supermercato quello che trovavano un tempo solo in cooperativa, ogni visita in meno per gli alimentari si porta dietro anche meno vendite “di riflesso” nelle altre categorie merceologiche (perché magari vengo per il riso, ma poi vedo quella tazza e…).
Abbigliamento, monili, oggetti e tessuti per la casa, bomboniere: meno, o meglio a seconda delle categorie, ma anche qui la vostra “fiacca” sicuro è dovuta (anche) alla concorrenza di altri produttori o distributori. Ma più che i “grandi”, stiamo parlando di una concorrenza di piccoli: però anche i piccoli possono diventare concorrenti temibili 🙂 se iniziano a lavorare un po’ sul marketing, magari online. Anche i vostri soci usano internet, sicuro, e se scrivo “bomboniere solidali” o simili, quanti nella vostra zona le stanno promuovendo, proponendo bei prodotti meritevoli di attenzione? Son sicuro: tanti e tanti! Se vado su Etsy o Alittlemarket, quanti prodotti simili o in linea equosolidale di ogni tipo, d’arredo, di vestiario etc posso trovare? Migliaia!
E quindi, la domanda di fondo da porsi per voi credo sia:
i soci stanno scappando dalla bottega, oppure stanno preferendo andare anche da altre parti?
Non è proprio la stessa cosa: nel primo caso, il problema sareste voi. Nel secondo invece, stanno apprezzando le offerte di altri (e non vuol dire quindi che stiano disprezzando la bottega!).
La verità probabilmente (ma guarda te!) sta nel mezzo.
Tutti i mezzi di indagine che hai elencato, vanno benissimo… ma ancor prima di fare delle domande a loro, forse dovreste rivolgerle all’interno. Te ne propongo due:
- stante che esiste una concorrenza diretta e “spietata” su praticamente tutte le linee di prodotti che avete a magazzino, in che modo la bottega riesce ancora a essere “differente” nelle sue proposte? Cosa la rende unica e originale non tanto nella sua filosofia e storia, ma nella sua offerta commerciale (mettici dentro tutto: prezzi, origine dei prodotti, varietà, siete gli unici che propongono certe linee o tipologie di prodotti, avete particolari politiche di garanzia, potete dimostrare attenzioni ulteriori nella selezione e nella cura dei prodotti rispetto ai concorrenti…)?
- in termini di vendite, cosa è cambiato negli ultimi 3 (meglio 5) anni? La risposta non può essere “beh, vendiamo di meno!”, ma piuttosto “Vendiamo meno di questo, ma più di quell’altro, questo lo vendiamo uguale a una volta, e questo invece non lo riusciamo a vendere per nulla…”. Questa analisi (che deve essere estremamente puntuale e “disincantata”) non segnala tanto se siete bravi o meno a vendere, ma piuttosto che cosa della vostra offerta piace ancora ai vostri soci, o meglio, che cosa ancora è introvabile (o difficilmente reperibile) fuori e invece reperibile da voi, stante che il vostro cliente tipo sposa una certa filosofia di consumo (non tutti, ma una larga parte si). Per paradosso, ragionare bene su questi dati potrebbe portare a rivoluzionare del tutto il magazzino della bottega: potreste decidere di eliminare tutto il food, salvo certi prodotti molto molto particolari e selezionati, di ampliare i tessuti d’arredo e l’oggettistica…
- nella testa di vostri clienti (o della clientela “tipo” di una bottega) che posizione occupate? Cioè: “le bottega del commercio equo è l’unico posto (in zona) in cui trovo…”. Una volta la risposta era scontata. Oggi invece, tocca riformularla tenendo conto di tutti i cambiamenti esterni e interni che avete passato.
Probabilmente, nel rispondervi verrà naturale ridefinirivi. Da quel che vedo in giro, alcune botteghe hanno trovato la loro nuova via diventando un nodo di rete per chi produce “responsabile” (mettici dentro tutto: bio, km zero, artigianato autentico, certificato, cruelty free, solidale, gas… etc) a livello locale. Praticamente, da bottega dei paesi lontani con limitata scelta di produzione italiana, a punto di incontro e di scambio per una scelta piuttosto nutrita (a magazzino o su ordine) di tutto quello che nel raggio di 20-30 km (con punte più lontane) entra nel rinnovato focus del commercio equo.
E allora veniamo alla customer care (finalmente, dirai!). Va bene tutto quello che fate, davvero! Di tanti strumenti, vi suggerirei di adoperare anche, se non soprattutto, il telefono. E’ uno strumento potentissimo, addirittura un’arma a doppio taglio! Però, anche se aveste un numero limitato di contatti telefonici, iniziate da lì, procedendo circa in questo modo:
- chiamate per un saluto e per un paio di domande, perché “stiamo cercando di rilanciare la bottega, prima di tutto sentendo chi ci ha creduto dall’inizio”
- capite cosa ogni socio comprava di più un tempo, il motivo di acquisto che lo aveva spinto inizialmente alla vostra bottega
- capite quindi se quella spinta iniziale si è esaurita (difficile che vi diano alcune informazioni, per “pudore”: se stanno comprando il riso thay all’Interspar, non ve lo diranno certo!)
- chiedete se potete inviare un questionario completo (anticipate che basteranno 2 minuti per una decina di domande a crocette) e indicate dove lo trovano, cioè come preferiscono essere in contatto con voi (di persona in bottega su date e orari previsti; via e-mail; con un whatsapp)
- il questionario dovrà essere anonimo
- costruite in ogni caso una newsletter mensile (anche in copia cartacea) con le offerte speciali del periodo, sulle nuove proposte di acquisto e approfondimenti sullo stile e le scelte responsabili della bottega
- “nutrite” regolarmente con queste informazioni la vostra clientela e aggiungete incontri coi produttori o rivenditori locali
- solo dopo un po’, avvicinate la clientela con strumenti di fidelizzazione tipici quali una tessera punti o una tessera sconto
Poi: dall’inizio tu dici “abbiamo vari problemi” e posso immaginare quali siano (a partire da quelli organizzativi: un solo part-time, volontariato immagino scarso o sempre dei soliti…). Come sempre, c’è tanto da fare, ma come ce la stanno facendo altri, anche la vostra bottega può farcela! Coraggio, il mondo ha bisogno di scelte e proposte di consumo responsabili e solidali! 😉
Un caro saluto, ogni bene e avanti tutta!
– Riccardo Friede –
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